Di Meron Rapoport. Middle East Eye (30/05/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.
Venerdì, al congresso annuale della Federazione Internazionale del Calcio (FIFA), a Ginevra, l’Associazione Calcio Palestinese aveva chiesto l’espulsione di Israele a causa delle discriminazioni nei confronti dei giocatori palestinesi nei territori occupati. Una proposta ritirata appena prima della votazione, ma che ha creato un sorprendente scompiglio tra i giornalisti israeliani impegnati a coprire l’evento. Uno di loro ha ironicamente commentato: “Ora siamo liberi di perdere tutte le competizioni internazionali”. Eppure, dalla reazione delle autorità, dal primo ministro Benjamin Netanyahu al presidente dell’Associazione Calcio Ofer Eini, sembrava che la possibilità dell’espulsione fosse davvero imminente.
“È tempo di rinchiudere Jibril Rajub (presidente dell’Associazione Calcio palestinese) nel palazzo del governo palestinese di Ramallah e farlo giocare per strada con gli amici”, si leggeva sulla pagina del ministro dei Trasporti israeliano Israel Katz dopo l’annuncio del ritiro della proposta di espellere Israele dalla FIFA. Di contro, profonda è stata la delusione del movimento BDS (boicottaggio, disinvestimento, sanzioni), che chiede l’isolamento internazionale di Israele, anche per le decisioni che la FIFA ha preso nel corso delle consultazioni. Creare una commissione che supervisioni la libertà di movimento dei giocatori palestinesi tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, aprire un’inchiesta sulle accuse di razzismo rivolte alle squadre israeliane e indagare sulla legittimità della partecipazione di cinque squadre della Cisgiordania nelle serie di Israele.
Sarebbe tuttavia errato dire che Rajub ha fallito su tutti i fronti. Infatti, ponendo la questione della libertà di movimento nei territori occupati, ha ricordato alle autorità e all’opinione pubblica israeliani che il problema è reale, visto che lo scorso anno le richieste di lasciapassare di 40 sportivi palestinesi sono state respinte. In risposta a queste ‘pressioni’ Tel Aviv ha promesso di rilasciare ai calciatori palestinesi dei permessi speciali, di agevolare il movimento delle squadre nei territori occupati e di contribuire alla costruzione di stadi e campi (mentre restano in macerie scuole e ospedali distrutti dall’aviazione israeliana durante l’ultimo attacco alla Striscia di Gaza). A questo punto sarebbe ingenuo convincersi che tutti questi impegni verranno rispettati, ma almeno potranno trasformarsi in temi altrimenti assenti dal dibattito pubblico.
Finora i tentativi di chiedere sanzioni nei confronti di Israele sono caduti nel vuoto. Ad esempio, pochi artisti internazionali boicottano il mercato israeliano, malgrado le campagne frequenti del movimento BDS. Per non parlare degli effetti economici insignificanti delle misure adottate dall’Unione Europea sull’importazione di prodotti dalla Striscia di Gaza. Nondimeno, dopo la proposta di Rajub, il timore dell’isolamento internazionale ha generato una reazione quasi isterica da parte dei media di Tel Aviv, persino più delle iniziative dei movimenti per il boicottaggio sparsi per il mondo o del rifiuto di alcuni musicisti e accademici di tenere concerti o conferenze in Israele. Questo perenne senso di accerchiamento si è definitivamente affermato dalle ultime elezioni, da cui è uscito un governo interamente di destra, privo di personalità come l’ex ministro della Giustizia Tzipi Livni o l’ex presidente Shimon Peres, che offrivano alla comunità internazionale un volto di Israele più moderato e democratico. Personalità apprezzate sia in patria che all’estero, al punto che Eini è diventato presidente dell’Associazione Calcio anche in virtù del suo passato nel Partito Laburista e nei sindacati.
Meron Rapoport è un giornalista e scrittore israeliano, premiato per la sua inchiesta sui furti di ulivi subiti dai palestinesi.
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