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Israele e la destituzione di Morsi

Morsi e NatanyahuDi Hicham Mourad. Ahram online (22/07/2012). Traduzione e sintesi di Angela Ilaria Antoniello.

Dei funzionari israeliani hanno mediato con gli Stati Uniti per convincere Washington a non tagliare o ridurre gli aiuti militari ed economici versati annualmente all’Egitto, a partire dalla conclusione degli Accordi di Camp David, a seguito dell’estromissione del presidente Morsi da parte dell’esercito. Tel Aviv teme, infatti, che una tale revisione degli aiuti, soprattutto militari, minerebbe l’impegno dell’Egitto a rispettare il trattato di pace con Israele, pilastro della politica di Washington in Medio Oriente.

Il trattato di pace è stato rispettato da Morsi, il quale si è anche posto come mediatore, con grande soddisfazione di Tel Aviv e di Washington, tra il Movimento di Resistenza Islamica (Hamas) e Israele, consentendo di mettere fine all’offensiva che fu lanciata contro Gaza nel mese di novembre 2012. L’intervento era stato motivato dal desiderio di salvare Hamas, alleato di Morsi in Palestina, dal bombardamento e dalla distruzione da parte dell’esercito israeliano, oltre che dalla voglia di compiacere Washington.

Come spiegare, allora, la soddisfazione di Israele per la destituzione di Morsi? La prima ragione sta nel legame tra Morsi e il ramo palestinese dei Fratelli Musulmani, Hamas. Tel Aviv ritiene, a torto o a ragione, che questi due partiti islamisti vogliono, alla fin fine, per motivi ideologico-religiosi, la distruzione di Israele e se il regime dei Fratelli Musulmani non ha compromesso la sicurezza dello Stato ebraico è solo perché è stato troppo assorto nei problemi politici, economici e sociali interni.

Le sue preoccupazioni sono state rafforzate dal deterioramento della sicurezza nella penisola del Sinai a causa della proliferazione di gruppi jihadisti in contatto con Hamas e altri gruppi salafiti palestinesi. L’Egitto ha intensificato le operazioni di sicurezza nel Sinai per cacciare i terroristi, ma ciò è stato per lo più il risultato della pressione esercitata dall’esercito egiziano, preoccupato per l’aumento della minaccia jihadista.

Dalla destituzione di Morsi, l’esercito sta conducendo la più vasta campagna contro jihadisti e militanti di Hamas nella penisola del Sinai. Per la prima volta, dopo la conclusione del trattato di pace, l’esercito egiziano ha utilizzato, con l’approvazione di Tel Aviv, aerei da combattimento F16 e gli elicotteri d’attacco Apache nella demilitarizzata zona di confine. Alcuni di questi velivoli hanno sorvolato anche la Striscia di Gaza, dove sono stati individuati, secondo una fonte militare egiziana, 150 membri delle Brigate Ezzedine al-Qassam – il braccio armato di Hamas – diretti verso il Sinai attraverso i tunnel usati per il contrabbando.

La soddisfazione di Israele è giustificata anche sul piano politico. Egitto gioca un ruolo importante rispetto alla questione palestinese. Sotto Morsi, l’Egitto si è avvicinato ad Hamas, l’acerrimo nemico di Israele, ed ha emarginato l’Autorità Palestinese di Mahmoud Abbas, l’unico interlocutore di Tel Aviv. Questa situazione era esattamente l’opposto di quella esistente sotto Mubarak, che aveva favorito l’Autorità Palestinese alle spese di Hamas. Ora, ci si aspetta che qualsiasi governo egiziano non dominato dai Fratelli Musulmani o dai salafiti stabilisca un equilibrio diverso.

 

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