Di Hazem Saghia. Al-Hayat (23/07/2018). Traduzione e sintesi di Stefania Schiavi.
Due sono le realtà che si ergono minacciose sul mondo arabo orientale: Israele, guidato da Netanyahu e dai suoi alleati, e l’Iran, che vive all’ombra dell’ayatollah.
Questi due Paesi, a causa dei regimi che li governano e delle ideologie che vi sono diffuse, condividono una tendenza a voler modificare la natura delle cose: la nascita di Israele è legata all’espulsione della popolazione originaria, i Palestinesi; l’Iran, da parte sua, non esita a modificare i dati demografici quando rischiano di ridurre il suo prestigio.
A seconda dell’aspetto che si prende in considerazione, Israele sembra porre una minaccia maggiore dell’Iran e viceversa.
La forza militare israeliana, che Teheran invece non possiede, rende il Paese simile ad una bestia feroce. Le sue zanne nucleari e, allo stesso tempo, il suo stato di Silicon Valley del Medio Oriente giustificano l’apprensione diffusa nell’area. Le catene democratico-parlamentari messe a questa bestia risultano sempre più inefficienti di fronte alla continua occupazione militare, alla salita al potere di leadership nazional-popolari sia in Israele che in tutto il mondo e in particolare di fronte agli stretti rapporti tra Netanyahu e Donald Trump. Lo spostamento stesso dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme esprime chiaramente l’appoggio statunitense per la politica di occupazione. A sua volta, l’approvazione della legge dello Stato-nazione ebraica costituisce un consolidamento ideologico di questa politica. È vero che la suddetta legge è un riflesso tardivo di una realtà anteriore, ma lo stato di guerra potrebbe diventare uno stile di vita quotidiano imposto da Tel Aviv con una leggerezza sconfortante. Hamas e forse anche Hezbollah sono pronti.
L’Iran, d’altra parte, ha una popolazione dieci volte maggiore di quella dello Stato ebraico: questo significa che gli Israeliani non possono fare altro che stabilirsi nei territori palestinesi, mentre la loro controparte iraniana è in grado di diffondersi in un’area geografica molto più ampia. Una supposizione del genere non è un’esagerazione, dal momento che è quello che sta accadendo in Siria oggi e che ci sono precedenti: basti citare Curdi, Armeni e Palestinesi, vittime principali delle turbolenze della regione.
L’Iran è anche legato ideologicamente alle popolazioni del mondo arabo, mentre Israele non può dire lo stesso dopo la migrazione degli ebrei arabi. È infatti solo recentemente che gli avvenimenti nella regione hanno trasformato la ricchezza, e con essa la diversità, in una fonte di guerra e conflitto.
La questione è fondamentalmente una nostra responsabilità, non dell’Iran né di Israele; ma il peggio del peggio è che sarebbe irresponsabile da parte nostra affidarci ad uno qualsiasi dei due Stati.
Hazem Saghia è un giornalista, critico e commentatore politico libanese.
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