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Iraq: dimissioni del primo ministro Adel Abdul Mahdi. I possibili scenari futuri.

Le dimissioni di Adel Abdul Mahdi fermeranno il movimento iracheno? Qual è l’alternativa proposta? Perché il primo ministro dovrebbe essere processato per i massacri attuati contro gli attivisti innocenti? E come gli abitanti del Sud dell’Iraq hanno corretto l’immagine del Paese e concepito un nuovo e autentico Iraq?

Di Abdel Bari Atwan, Rai al-Youm (24/11/2019). Traduzione e sintesi di Giorgia Lo Nigro.

Nonostante le dimissioni del primo ministro iracheno Adel Abdul Mahdi, prima vittoria ottenuta dal movimento popolare, potrebbero rappresentare l’inizio di una serie di concessioni da parte dell’élite governativa, non riporteranno la calma nelle strade né tantomeno scoraggeranno i manifestanti. Infatti le dimissioni del primo ministro non costituiscono la sola richiesta del popolo, che reclama tra le altre cose il ritiro dell’intera classe politica corrotta, la cancellazione della costituzione di Bremer, l’attuazione di riforme che facciano giustizia sociale, l’eliminazione delle quote settarie e di ogni traccia dell’occupazione americana, dalla quale del resto derivano tutte le crisi.

L’elezione di Abdul Mahdi, in carica dall’ottobre 2018, non è stato frutto di una scelta popolare né tantomeno il leader può essere ritenuto tanto qualificato da ricoprire tale ruolo. È piuttosto da considerare un burattino degli schieramenti corrotti scelto per la sua debolezza, visto che non appartiene né a una tribù né a uno schieramento politico noto per la sua identità riformista, piuttosto noto, invece, per non essere né carne né pesce.

Le dimissioni di Abdul Mahdi, arrivate in ritardo e soltanto dopo aver causato la morte di ben 420 manifestanti disarmati e averne feriti circa altri 15.000, sono state giustificate dal primo ministro; questo ha infatti affermato che sono state la risposta alla massima autorità religiosa sciita Ali Sistani e che seppur giuste, sono da considerarsi una riduzione del valore del movimento popolare e del suo ruolo e uno svilimento dei suoi più grandi successi politici come ad esempio, l’aver smascherato la classe politica governativa che ha depredato lo Stato delle sue ricchezze, l’aver portato il popolo alla fame e l’Iraq ad essere il quinto Paese sotto la soglia minima di povertà con servizi pubblici inaccettabili nonostante si tratti dello stesso Paese i cui ricavi petroliferi ammontano almeno a 20 miliardi di dollari mensili.

La richiesta di Sistani delle dimissioni di Abdul Mahdi e l’invito a indire elezioni popolari immediate è stata legittima, ma adesso c’è bisogno di molto altro: un processo a tutti i politici corrotti, il recupero di più un trilione di dollari sottratti dalle casse dello Stato e dai ricavi petroliferi per 16 anni, il rafforzamento di un’identità nazionale unica, un Paese con istituzioni aconfessionali e civili, un’identità nazionale collettiva, la riforma dell’esercito iracheno e il ritiro di tutte le forze straniere, prime tra tutte quelle americane.

Coloro che hanno appiccato il fuoco tra i manifestanti e commesso massacri non devono essere risparmiati dalla giustizia, primo tra tutti il Sig. Abdul Mahdi che deve assumersi la più grande delle responsabilità, in quanto si è avvalso dello strumento del terrore. Avrebbe dovuto dimettersi dal primo giorno, ma ha preferito spargere il sangue dei manifestanti ricorrendo ad armi illegali e commettendo il più grande dei peccati.

Ci stupiamo che esistano voci che tentano di assolvere l’America e i suoi alleati arabi nel tentativo di attaccare e sviare il movimento popolare con lo scopo di distruggere l’Iraq e di causare una guerra civile per impedirgli di recuperare la sua posizione imprenditoriale e di leader del territorio, in piedi nella trincea dell’asse della resistenza, e di impedire la vittoria di tutte le questioni nazionali giuste, prima tra tutte la questione palestinese. Tutte le sventure irachene sono da ricondursi all’occupazione americana, alla partecipazione e alla complicità di tutti coloro che sono arrivati a bordo di carri armati e hanno preso il potere attraverso un’operazione politica che ha istituito sette ben definite e volte a cancellare l’identità nazionale collettiva. I tentativi attuati di suggerire il contrario e distorcere l’ondata della resistenza non saranno perdonati.

Un Iraq nazionalista e aconfessionale privo di corruzione e dei suoi simboli, in cui ci sia giustizia sociale, un sistema giudiziario indipendente e un esercito forte non contraddice l’asse della resistenza; costituisce piuttosto l’antitesi contro l’occupazione americana e argina qualsiasi forma di influenza estera tra cui anche quella iraniana, perché è questo l’Iraq contro il progetto israelo-americano, come lo è sempre stato, ad eccezione degli anni neri di magra che ha vissuto sotto l’occupazione americana e di coloro che sono arrivati a bordo di carri armati offrendo un quadro democratico illusorio.

E anche se ipotizzassimo che ci sia stata  un’infiltrazione americana al movimento, il Sig. Abdul Mahdi e i suoi seguaci non sarebbero di certo le persone adatte per combatterla, in quanto sono nati dal ventre americano e sono preziosi strumenti dell’America. Se tale movimento fosse contro le occupazioni straniere in Iraq, dopo aver trasformato il Paese in una piazza di conflitti, contesa tra Iran e America, e questa descrizione è esatta e incontestabile, si porrebbero tanti altri interrogativi. Perché gli interessi americani in Iraq non sono andati a fuoco insieme ai consolati iraniani? Perché non sentiamo più intonare il coro “America, America, fuori, fuori” con la certezza che siamo per la pace e contro la violenza in tutte le sue forme?

La scoppio della scintilla del movimento contro la corruzione e l’élite governativa a Najaf, Kerbala, Amara, Nassiriya, Bassora e tutte le altre città del Sud corregge l’immagine falsa che si ha delle stesse, del loro popolo patriottico, della loro appartenenza araba e della loro pura identità islamica, eredità dei 16 anni di occupazione americana. Questo fenomeno è infatti scaturito dall’interesse di una rinascita dell’Iraq, in quanto Paese vero, aconfessionale e nazionalista.

L’alternativa al governo di Abdul Al Mahdi è accogliere le richieste del movimento e dunque abolire la costituzione di Bremer immediatamente, scrivere una nuova costituzione nazionale aconfessionale e indire le elezioni parlamentari, che arriveranno inevitabilmente con forze che riflettono lo stato di cambiamento imposto dal sangue dei giovani rivoluzionari, dalle anime dei martiri, dai simboli della corruzione e dalle quote settarie. L’operazione americana ha generato una democrazia falsata e  stabilito un leader per l’Iraq e una difficile figura nazionale in tutta la regione… e i giorni che ci separano.

Abdel Bari Atwan è capo redattore del quotidiano londinese online Ray al-Youm, specializzato nel mondo arabo. È autore di numerosi libri sull’estremismo islamico.

Vai all’originale: هل ستُؤدّي استِقالة عادل عبد المهدي إلى وقف الحِراك العِراقيّ؟ وما هي تحفّظاتنا عليها والبَديل المُقتَرح لها؟ ولماذا يجِب مُحاكمته بارتِكاب المجازر بحق الحِراكيين الأبرِياء المُسالمين؟ وكيف صحّح أهل الجنوب الصّورة وأسّسوا للعِراق الحقيقيّ الجديد؟

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