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Iraq: conflitto di competenze

Di Amar al-Sawad. Elaph (20/10/2012). Traduzione e sintesi di Carlotta Caldonazzo

Niente è più pericoloso dell’assenza di leggi o della loro applicazione selettiva e mirata. Un elemento comune ai regimi autoritari e corrotti, per i quali le leggi non sono strumento di uguaglianza ma un’arma per riflettere i rapporti di forza tra governo e opposizione. E’ inaccettabile che a un qualsiasi cittadino venga negata la presunzione di innocenza solo in quanto avversario politico del governo in carica, o che al contrario gli venga garantita l’impunità in nome della sua lealtà al regime. Ora alla sbarra si trova Sinan al-Shabibi, governatore della Banca centrale irachena dal 2004, sospeso nei giorni scorsi dalla Commissione per l’integrità e sostituito da Abdelbassit Turki fino a data da definirsi. Una decisione basata su un rapporto della commissione parlamentare anticorruzione su una presunta svalutazione intenzionale del dinaro iracheno rispetto al dollaro Usa. Nell’inchiesta, secondo il portavoce del Primo ministro Nouri al-Maliki, sono stati emessi 30 mandati di arresto.

Diversi sono gli argomenti di chi è contrario al processo ad al-Shabibi. Anzitutto il fatto che in precedenza la stessa sorte è toccata al presidente della Commissione per l’integrità Rahim al-Agili e ai membri del Comitato elettorale. Tutti personaggi che a un certo punto della loro carriera si sono trovati nell’occhio del ciclone delle autorità. Diffusi sono dunque i sospetti che dietro un’inchiesta per corruzione ci sia il fallimento dei ripetuti tentativi del governo al-Maliki di controllare la Banca centrale irachena e di imporre la sua linea nella politica monetaria. Uno dei tanti episodi del conflitto tra le istituzioni irachene su chi debba stabilire le direttive generali per le istituzioni indipendenti (tra cui la Banca centrale), che vede come protagonisti il potere esecutivo e quello legislativo. Chi è favorevole al processo ad al-Shabibi  sostengono invece che le ordinanze della magistratura non sono discutibili, dimenticando tuttavia che la magistratura irachena non è come quella svedese o olandese. Anche questo organismo in Iraq presenta gli stessi difetti dei regimi del cosiddetto Terzo Mondo. Vale la pena osservare inoltre che l’attuale presidente della Commissione per l’integrità è stato nominato dal primo ministro, quindi non si capisce fino a che punto possa vigilare sull’onestà dei membri del governo.

La presidenza della Banca centrale irachena diventa dunque vacante (a parte nomine ad interim) come quella delle commissioni per l’integrità, per i media e per le telecomunicazioni, tutte governate per procura. Una decisione rischiosa in un momento di apprensione per i fondi iracheni in custodia alla Banca centrale, che potrebbero passare sotto il controllo dell’esecutivo, e alla luce delle accuse di riciclaggio e trasferimento di denaro all’estero. Ciò che maggiormente preoccupa tuttavia è l’ipocrisia che contraddistingue la classe politica irachena, i cui ministri votano i provvedimenti per poi contestarli pubblicamente sui media. Sintomo di una debolezza che rischia di condurre il paese verso la tirannide: neutralizzate le istituzioni che si presume siano indipendenti, il “nuovo Iraq” si avvia verso l’applicazione selettiva delle leggi. Il parlamento è indebolito dai battibecchi politici, la magistratura finora non è stata mai nominata secondo i dettami della “costituzione democratica”, la presidenza della repubblica dovrebbe salvaguardare la costituzione ma attraversa i suoi tempi peggiori, i capi dell’opposizione perdono credibilità perché complici della devastazione. Uno scenario pre-catastrofico cui tutti contribuiscono e di cui alcuni raccoglieranno i frutti. Un’altra perdita di tempo nella vita degli iracheni.