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In turco si dice çapulcu, e in arabo?

çapulcuAvete presente la parola turca che in questi giorni impazza tra i social network? L’ha pronunciata il primo ministro Erdoğan contro i manifestanti di piazza Taksim: çapulcu. Un modo per definirli “vandali”. La curiosità è sorta spontanea: che parola avranno usato per rendere çapulcu nei quotidiani arabi? Per scoprirlo ho scelto il discorso che Erdoğan ha tenuto il 9 giugno davanti a una folla di suoi sostenitori che, proprio al suo pronunciare sprezzante “çapulcu” riferito a chi protesta, è scoppiata in un fragoroso applauso.

Il quotidiano Elaph mette la parola già alla fine del titolo: “Erdoğan gioca il ruolo della vittima contro i manifestanti “carnefici” e la “gentaglia”. Al-ra’ā’u, la marmaglia, la gentaglia: ecco la parola con cui i quotidiani arabi hanno scelto di tradurre çapulcu. Elaph in particolare esprime un giudizio sul premier: “Il ruolo della vittima [scelto da Erdoğan], che in passato gli è riuscito, oggi sembra banale, e traduce il suo sgomento, soprattutto quando descrive i manifestanti come gentaglia (ra’ā’u)”.

C’è poi il quotidiano AlHayat, (Luca Pavone ha ripreso la notizia qui) che fa leva sul ripetersi dell’epiteto çapulcu, notando come non sia la prima volta che Erdoğan lo usa: “Ha descritto i manifestanti come ladri (luṣūṣ) e li ha classificati ancora una volta come gentaglia (ra’ā’u)”. In un articolo precedente alla parola gentaglia fa seguito quella di estremisti, mutatarrifūna in arabo.

Passando al quotidiano As-Safir, possiamo leggere la parte subito precedente l’accusa di çapulcu ai manifestanti. Il giornale riporta infatti come Erdoğan “ha aggiunto che ‘la Turchia deve vedere che la vera immagine di Ankara non è un’immagine di chi semina il caos’. Ha ancora una volta descritto i manifestanti come gentaglia (ra’ā’u)”. A questo punto c’è un passaggio davvero interessante che ho trovato inoltre nel quotidiano AlQuds (anche lì çapulcu è tradotto con ra’ā’u). Si tratta di un invito che Erdoğan rivolge ai manifestanti: “Se questa descrizione li infastidisce, si accertino dal dizionario su cosa significa questa parola [çapulcu]”.

Sapete perché è interessante? Perché i manifestanti hanno fatto molto di più che aprire il dizionario e prendere visione del significato della parola. Hanno preso un insulto come çapulcu e l’hanno reso qualcosa di positivo. Non è più, nel loro nuovo senso comune, riferito a chi compie atti di distruzione e vandalismo; si è trasformato invece in un concetto che descrive chi scende in piazza a rivendicare i propri diritti. Quello che fanno i ragazzi di piazza Taksim, che ora scrivono çapulcu e tutti i suoi derivati in altre lingue per le strade, sugli striscioni e dovunque possono. Questa loro rivoluzione linguistica è stata così prorompente che perfino il linguista americano Noam Chomsky si è schierato dalla loro parte, registrando un video davanti ad un cartello che recita: “Sono anch’io un çapulcu, per solidarietà – Resistanbul”.

Un tentativo molto simile tempo fa ha portato le donne israeliane alla Mitzad Sharmutot: anche quelle donne hanno preso una parola vista come insulto e l’hanno usata per autodefinirsi in modo da sottrarle la valenza negativa e rivendicare la propria femminilità. L’ho scritto allora e lo riscrivo, ora che l’ho visto realizzarsi: Sottrarre una parola a chi la usa come insulto e aprire una riflessione sul suo significato, scardinandolo se necessario, è quanto di più propulsivo si possa provare a fare. I ragazzi di piazza Taksim ce ne stanno dando meravigliosa conferma.

Claudia Avolio