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“In medias res”, una mostra per riflettere sul presente

Di Nadine Elali. Now Lebanon (19/04/2014). Traduzione e sintesi di Viviana Schiavo.

“In Medias Res”, frase latina per “nel mezzo delle cose”, è la tecnica artistica per raccontare la storia di “ora”. Con questo titolo in testa, un collettivo di giovani artisti libanesi si è riunito questa settimana a Beirut per presentare una mostra che riflette sull’arte e sul suo significato nel mondo che viviamo. “Oggi, mentre parliamo, siamo nel bel mezzo della vita”, afferma il regista Miha Vipotnik, che ha guidato il progetto. “Siamo nel centro, nel presente; non siamo nel passato, né nel futuro. Nel caso del Libano,” aggiunge, “siamo nel mezzo di un conflitto e gli artisti stanno rispondendo a questa situazione in diversi modi”.

In una conversazione con NOW, Vipotnik spiega che l’obiettivo della mostra è “ripensare lo spazio artistico, riorganizzarlo e ricrearlo in modo tale da riflettere meglio sulle realtà mutevoli nelle nostre vite quotidiane”. Gli spettatori sono, quindi, invitati a guardare, ascoltare ed essere proiettati su degli schermi in vari segmenti, ciascuno dei quali mostra un diverso approccio artistico alla narrazione.

Un’istallazione, intitolata “Settlement” (Insediamento), invita gli spettatori a “guardare se stessi nel modo in cui loro stessi si guardano”, mentre si avvicinano ad un oggetto posto nel mezzo dello spazio. Lo spettatore scopre che c’è una telecamera all’interno dell’oggetto e che stanno guardando se stessi, un’esperienza che è contemporaneamente proiettata su un grande schermo. “Guardare te stesso, mentre guardi te stesso, nel modo in cui tu ti guardi”, racconta l’artista Elie Mouhanna, “e cercare di vedere qual è l’originale, la copia, la copia in carta carbone e scegliere la versione che ti fa sentire più a casa”.

In una rappresentazione interattiva, chiamata “Silenced” (Silenziato), l’artista italiana Cristina Ghinassi e l’artista visuale libanese Jad Tannous incoraggiano lo spettatore a fare esperienza del silenzio. “L’idea è cercare di rendere lo spettatore cosciente del silenzio”, dice Ghinassi. “Non c’è silenzio qui in Libano e le persone non amano il silenzio, lo temono”. Lo spettatore è invitato a indossare delle cuffie e a stare in piedi per 8 minuti davanti a Ghinassi mentre lei gli parla attraverso il microfono. L’artista gli chiede di entrare in un sogno in cui entrambi sono nel mezzo del traffico, ma senza suoni”.

La maggior parte delle opere della mostra usano la sorveglianza come mezzo. “L’istallazione di telecamere di sorveglianza in tutta la città per controllare il conflitto”, dichiara l’artista Firas Hallak, “ha prodotto un clima di insicurezza tra le persone, che sono coscienti di essere guardate. Di conseguenza, gli artisti sono venuti per criticare, interrogare e mettere in discussione questa sorveglianza sociale”. La Hallak aggiunge: “Le persone vengono guardate e non hanno la possibilità di vedersi. In questo modo noi diamo agli spettatori la possibilità di vedere come vengono guardati e registrati”. Conclude: “Questo porta le persone a riflettere su quanto sia moralmente accettabile essere guardati e a chiedersi perché vengono filmati, con quale scopo”.

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