Di Ángeles Espinosa. El País (11/03/2015). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.
Amnesty International denuncia il rischio di regresso dei diritti sessuali e riproduttivi delle donne in Iran se dovessero essere approvate le leggi che le riducono a “macchine per fare bebè”. I due progetti in questione smantellano i programmi di pianificazione famigliare finanziati dallo Stato, che erano stati tanto elogiati dalla comunità internazionale, e consacrano la discriminazione della donna sia nell’accesso all’impiego sia nella lotta contro la violenza di genere. In realtà, ancor prima che il progetto sia diventato legge, sono già state introdotte alcune misure deleterie, come l’eliminazione delle sovvenzioni agli anticoncezionali e la gratuità delle vasectomie.
“Le leggi proposte consolideranno le pratiche discriminatorie e faranno retrocedere i diritti delle donne e delle bambine in Iran”, ha dichiarato Hassiba Hadj Sahraoui, vice-direttrice del Programma Regionale per il Medio Oriente e il Nord Africa di Amnesty International. Secondo lei, “le autorità stanno incoraggiando una cultura pericolosa dove le donne sono spogliate dai loro diritti fondamentali e considerate alla stregua di macchine per fare bebè, invece di normali esseri umani capaci di decidere circa il proprio corpo e la propria vita”.
Amnesty è preoccupata dalle conseguenze del cambiamento politico riguardo il controllo delle nascite voluto dall’ayatollah Khamenei che desidera duplicare la popolazione. Il suo obiettivo è arrivare a 150 milioni di abitanti entro il 2050. Da quando la precedente politica sulla popolazione è stata messa in atto, nel 1989, l’indice di fertilità è passato da 7 bambini a donna, nel 1980, a 5,5 nel 1996, a 1,85 nel 2014.
Secondo l’analisi di Amnesty l’approvazione del progetto di legge per incrementare gli indici di fertilità e prevenire il calo di popolazione, “dichiarerebbe illegale la sterilizzazione volontaria e proibirebbe la diffusione di informazioni sui metodi contraccettivi”. Amnesty segnala che le donne sarebbero allora obbligate a portare a termine delle gravidanze non desiderate o di rischiare la propria vita con aborti clandestini.
L’altro progetto che preoccupa è il Piano generale per la popolazione e l’esaltazione della famiglia che i deputati hanno previsto di dibattere il mese prossimo. Secondo Amnesty, questa legge propone “misure dannose e discriminatorie orientate a incoraggiare il matrimonio in tenera età, la maternità ripetuta e indici di divorzi più bassi, a rischio di intrappolare le donne in relazioni violente”.
Fino a poco fa, ci ricorda Sahraoui, le donne iraniane erano la maggioranza ad ottenere un titolo universitario e rappresentavano 17% della mano d’opera del Paese. Ora invece Amnesty mette in dubbio le dichiarazioni delle autorità secondo le quali uomini e donne sono trattati allo stesso modo. “Le autorità iraniane ricorrono a questa legge per cercare di frenare i progressi delle donne in Iran”, conclude Sahraoui. Oltre a controllare come si vestono, cosa studiano e dove lavorano, ora si immischiano anche nella loro vita privata cercando di controllare il loro corpo e di dettar loro il giusto numero di figli da avere”. La responsabile di Amnesty chiede che i due progetti vengano rifiutati e che si ristabilisca il finanziamento di servizi di pianificazione famigliare di qualità.
Ángeles Espinosa è la corrispondente da Dubai per El País.
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