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Il viaggio di Fatima, dalla Siria all’Europa, incinta

fatima Siria

Di Patrick Kingsley- The Guardian (23/09/2015). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

In copertina, Fatima nel corso del viaggio accanto a suo marito Nasser che porta in spalla loro figlio Hammouda (foto di Patrick Kingsley)

Oltre 300 mila persone quest’anno hanno rischiato finora la vita in mare dalla Turchia alla Grecia, con la maggior parte che ha poi camminato e preso pullman tra Macedonia, Serbia, Ungheria fino ai Paesi dell’Europa del nord. Poco esemplifica la loro disperazione più del fatto che molte di loro, come Fatima, sono donne che stanno compiendo il viaggio mentre sono incinte. Impossibile stimarne il numero, ma se ne vedono ad ogni attraversamento di confine. Secondo l’agenzia dei rifugiati dell’ONU, di tutti coloro giunti in Europa quest’anno il 13% sono donne. I medici che le seguono mentre si spostano lungo il continente considerano che oltre un quinto di loro potrebbero essere incinte.

“Su 100 donne, è probabile che il 20 o 30 percento siano incinte, in genere di circa 5 mesi”, dice Nevena Radovanovic di Medici Senza Frontiere che manda avanti diversi ambulatori mobili lungo i Balcani e raccoglie dati sulla salute di chi compie il viaggio, “Ma vediamo anche donne al 9° mese o che partoriranno dopo due giorni. E non c’è nulla che tu possa dire loro per convincerle a non andare”. Fatima piange mentre prova a spiegare cosa spinge una futura madre ad attraversare il mare su un barcone e poi trascorrere settimane in cammino e a bordo di pullman per la Scandinavia.

Se non avesse provato a raggiungere l’Europa, il futuro del suo primo figlio, Hammouda, sarebbe stato tra le macerie del campo palestinese di Yarmouk, Damasco, dove la sua casa è stata distrutta da un bombardamento, o nel limbo della Turchia, in cui né lei né suo marito hanno diritto a lavorare legalmente. Incinta di 4 mesi quando è partita, per gran parte del viaggio Fatima ha creduto che il bambino di cui era in attesa fosse morto. Non lo ha detto a suo marito Nasser, interior designer, ma mentre erano in cammino non ha sentito il bambino muoversi neppure una volta, concludendo che gli sforzi del viaggio le avessero causato un aborto.

E ce ne sono stati tanti, di sforzi. Anzitutto, la fame e la sete. Durante il viaggio, Fatima non aveva abbastanza cibo o liquidi, condizione rischiosa per qualunque donna incinta e ancora di più per una donna che deve camminare molti chilometri al giorno. Dopo 7 ore in mare in cui la loro barca è quasi affondata, la famiglia ha dovuto camminare altre 16 ore nell’isola di Samos, per trovare un rifugio, acqua, del cibo. Fatima è collassata ed è stata subito portata in ospedale. Camminare attraverso i Balcani è stato estenuante. Portando con sé il peso del figlio che aveva in grembo, Fatima aveva spesso forti dolori allo stomaco e alla schiena: sono in molte le donne incinte che ne soffrono durante questo tipo di viaggio, come riferisce la dottoressa Radovanovic.

Dormendo in strada nell’attesa di ricevere documenti di viaggio da una stazione di polizia in Macedonia, con la nausea causata dalla sua gravidanza, non pensava più ai ladri che prendono di mira i rifugiati: “A volte volevo solo sedermi perché non ce la facevo più, non avevo paura delle bande che avrebbero potuto rubarmi i soldi. Ma ho pianto tante volte per il dolore e per l’essere costretta a dormire per la strada”. Intanto, il suo bambino restava immobile nel suo grembo, al punto che quando lei, Nasser e Hammouda sono finalmente arrivati in Svezia, ancora non sapeva se fosse morto o vivo. “Perciò la prima cosa che abbiamo fatto è stata andare in ospedale”, ricorda, “ed è stato allora che abbiamo sentito il battito del suo cuore”.

Patrick Kingsley è il corrispondente di The Guardian dall’Egitto.

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