“Il sultanato di Erdogan. Cosa resta della Turchia dopo il golpe e la svolta presidenzialista” di Francesco Fravolini

“La Turchia è un paese nel quale i conflitti si sono succeduti nel tempo, quasi fossero degli episodi normali del vivere quotidiano; questa influenza negativa si riflette sulla crescita politica, sociale ed economica dello stato. A queste vicende sono seguite frequenti negazioni dei diritti civili ai danni della popolazione”. Si apre così la prefazione di questo interessante volume dal titolo “Il sultanato di Erdogan. Cosa resta della Turchia dopo il golpe e la svolta presidenzialista” di Francesco Fravolini e pubblicato per la Villaggio Maori Edizioni.
Si tratta di un saggio che intende analizzare la situazione della Turchia contemporanea, focalizzando l’attenzione sui cambiamenti politici, sociali ed economici che la attraversano a partire dal fallito golpe del luglio 2016. Il volume si avvale di contributi di più voci e dunque più opinioni che disegnano il quadro di un Paese in piena trasformazione e restituiscono una visione poliedrica dell’attuale realtà turca.
In primis viene analizzato il complesso rapporto fra la Turchia e l’Unione Europea, una relazione che risente della scarsa linearità e delle contraddizioni della politica portata avanti dall’Europa nei confronti del vicino stato turco. «A poche centinaia di chilometri dall’Italia c’è l’inferno: la fascistizzazione della Turchia di Recep Tayyip Erdoğan appare ogni giorno come un processo irreversibile. Dopo il fallito colpo di stato militare del 15 luglio 2016 la repressione ha assunto proporzioni incompatibili con qualsiasi parvenza democratica» è il commento di Simone Oggionni, studioso di storia contemporanea. Di fronte a questo processo di progressiva fascistizzazione l’Unione Europea resta a guardare, anzi stringe accordi con la Turchia per esempio sullo scottante tema dei migranti. Nonostante il governo turco avesse sospeso la Convenzione europea sui diritti umani, il trattato internazionale sottoscritto dai 47 Paesi che formano il Consiglio d’Europa.
Di fatto il paese che sta emergendo dopo il fallito golpe è un paese in cui l’istruzione, l’informazione, la cultura non sono libere. Ciò rende più agevole il controllo del popolo da parte dello Stato.
Anche l’aspetto religioso sembra riconducibile all’affermazione autoritaria dello Stato: “la progressiva islamizzazione diventa il collante di una rinnovata grandeur nazionale di tipo autoritario”.
La Turchia dal canto suo ha dimostrato interesse ad avere stretti rapporti con l’Unione Europea fin dal 1959 ma molti sono gli ostacoli che si frappongono al suo ingresso in Europa. Un esempio è l’articolo 2 del Trattato dell’Unione Europea che recita: «L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini». I requisiti previsti da questo articolo non appaiono soddisfatti dall’attuale stato turco, dove si sono inasprite le politiche repressive dopo il fallito golpe del luglio 2016. La distanza di vedute fra UE e Turchia allo stato attuale appare incolmabile.
Il volume focalizza poi la sua attenzione sul fallito golpe militare per il quale sono in ballo diverse interpretazioni. Secondo alcuni è stata una invenzione dell’establishment per giustificare successivamente le politiche repressive e la limitazione dei diritti civili. Secondo altri invece è stato il naturale sbocco di una protesta nata da un disagio reale. In ogni caso si è trattato di una protesta rientrata troppo rapidamente. Di fatto, alla luce di ciò che è successo subito dopo il colpo di stato, si ha l’impressione che si sia trattato di uno strumento per intimidire il popolo e normalizzare la situazione sociale. Come sostiene Giorgio Gasperoni, direttore del mensile Voci di Pace «Sono dell’idea come altri hanno detto all’interno della Turchia e in Occidente, che il presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan abbia utilizzato il fallito colpo di stato come pretesto per sopprimere il dissenso interno».
Interessante appare il capitolo che affronta il tema delle riforme costituzionali. È proprio sfruttando il fallito golpe che Erdogan propone il passaggio a un sistema di tipo presidenziale, con modifiche alla costituzione che di fatto aprono la strada a una dittatura. La funzione legislativa del Parlamento viene di fatto abrogata e il potere viene concentrato nelle mani del capo dello Stato. Il Referendum costituzionale del 16 aprile 2017 vede una vittoria molto risicata dei favorevoli alle modifiche, tale per cui non si può procedere al passaggio al sistema auspicato da Erdogan.
Nonostante lo stop referendario il processo di accentramento del potere da parte di Erdogan prosegue e continuano le violazioni dei diritti civili e umani, in primis verso le minoranze curde del paese. I curdi rivendicano la propria lingua, le proprie tradizioni, la propria cultura. La risposta è l’emarginazione e la persecuzione. Il divieto di usare la lingua curda in pubblico è un esempio di strumento per la negazione dell’identità culturale del popolo curdo.
Dopo il fallito golpe in Turchia sono stati chiusi 120 mezzi di comunicazione, 170 giornalisti sono stati arrestati, 11.500 insegnanti sospesi, sono state chiuse 15 università e 60 scuole private. E questo solo per dare qualche numero di come si sia estrinsecata la repressione e la svolta autoritaria nel paese.
Oggi la Turchia è un paese in cui preoccupa la stretta sui diritti civili, dove si procede con la modifica del lessico con la eliminazione di vocaboli di derivazione europea, dove aumenta in maniera esponenziale il numero dei carcerati (dal 2005 al 2016 il numero è aumentato del 340%), dove si attuano nuovi programmi scolastici che aboliscono tutti gli argomenti ritenuti non idonei dallo Stato (per esempio l’esclusione dai programmi scolastici della teoria dell’evoluzione di Darwin, come accade in Arabia Saudita).
Questa è la Turchia dove «Le trasformazioni del paese continuano a rivoluzionare negativamente la società. Continua senza sosta il cambiamento di Recep Tayyip Erdoğan con l’obiettivo di addomesticare, secondo il suo pensiero, la cultura della popolazione».

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