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Il Qatar è il maggior vincitore dell’inverno islamico

Al-Quds al-Arabi (21/12/2011). Vorrei seguire le parole del primo ministro e del ministro degli esteri dell’Emirato del Qatar. Parla a briglia sciolta, una volpe politica sa come comportarsi con i giornalisti salvo poi vendere ciò che vuole. È Sheykh Hamad bin Jassim coltiva ambizioni da regime imperiale, sebbene governi una penisola i cui abitanti sono per tre quarti stranieri. La gente del posto gode di una grande ricchezza, grazie alle rendite formidabili del gas naturale, mentre i lavoratori stranieri se ne stanno ammassati nella miseria in baracche di latta che ardono nella calura estiva. Il mio protagonista è colui che ha incitato suo cugino, Hamad bin Khalifa, attualmente al governo, a scalzare il padre attraverso la “rivoluzione del fax”, quando tentava di dissuarderlo dal tornare in Qatar. È sempre lui che è riuscito a promuovere Doha sulla carta grazie al canale Al Jazeera, che ha scatenato una rivoluzione e ha fatto storia in tutto il mondo arabo.
Sheykh Jassim è avvolto da una tunica e da un turbante tradizionali, sempre affabile e calmo, persino quando parla in modo determinato. Qualche notte fa l’ho visto tenere una conferenza stampa in quest’ultima veste, come presidente di turno della Lega araba. All’ordine del giorno: il massacro in Siria, il rifiuto da parte del presidente Bashar al-Assad di adottare la risoluzione della Lega per rimuovere i cecchini, gli shabeeha (lett. “spettri”, parola utilizzata per designare le bande) e i soldati dalle strade. Proprio l’occasione per Sheykh Jassim di prendere in mano la situazione e in caso di successo la mediazione con la Siria porterà la firma del Qatar. In caso contrario, il fallimento sarà iscritto nel libro nero della Lega araba. Si torni dunque alla doppiezza. Nessuno sembra credere che Assad possa rimanere in carica: la domanda piuttosto è come e a quali condizioni si farà da parte e cosa succederà nel momento che seguirà la spallata. Come attraverso le reti di Al Jazeera circolano messaggi doppi, uno per gli islamici in arabo e un altro in inglese per il mondo, così il piccolo emirato del Qatar si sta preparando a proporre due volti: da un lato parlano, soltanto in inglese, della democrazia e dei diritti del cittadino, mentre dall’altro aspirano a intrecciare legami con i movimenti islamici in Egitto, con Hamas a Gaza, fino ad arrivare all’organizzazione segreta dei Fratelli musulmani siriani.
La pianificazione delle varie fasi in Siria ha portato ieri i ministri degli esteri della Lega araba nel quartier generale del Cairo, per decidere se presentare il rimedio al Consiglio di sicurezza dell’ONU a New York. Sheykh Jassim ha dettato le condizioni prima ancora della riunione: anzitutto non c’è bisogno di una maggioranza schiacciante nella votazione. Non riconosce infatti le preoccupazioni del Libano sulla longa manus degli assassini a Damasco e dal canto suo può benissimo assestare un calcio al Libano e lanciare il grido dell’opposizione. Seconda condizione, nessun no definitivo all’invio di truppe straniere in Siria. Dopotutto nessuno può permettersi di trasformare Damasco in un terreno di scontro con i Guardiani della rivoluzione iraniani, in modo tale che quanto più Assadi si indebolisce più gli Ayatollah gli si avvicinano.
Al momento l’elemento più confortante è il delinearsi del volto islamico del Qatar, il budget illimitato e la cura per la generazione successiva che guiderà la Siria. Come fanno in Egitto: Mubarak conduceva battaglie di contenimento contro il Qatar e teneva il broncio al re e al ministro degli esteri. Gli hanno mandato una squadra di rinforzi per guidare la rivoluzione. Così è anche nel nostro caso: ci siamo sbarazzati dell’accordo sul gas naturale con il Qatar in favore dell’Egitto e abbiamo avuto otto esplosioni negli oleodotti. Li abbiamo allontanati dalla mediazione a proposito della liberazione di Gilad Shalit e ci siamo spinti in una campagna di trasferimento di persone che si è conclusa con il rilascio di un numero pressoché doppio di prigionieri palestinesi rispetto a quello proposto da Jassim grazie alle sue solide relazioni con Hamas. Ti affacci alla finestra a Doha e ti accorgi che tra la notte e l’aurora hanno innalzato un nuovo edificio, abbagliante. Ti sintonizzi su AL Jazeera e senti il dialogo con un eminente personalità religiosa, al-Qaradawi, nel programma “La sharia e la vita”. Non parlano della rivoluzione. Le impronte del Qatar si trovano in Libia, Yemen, Bahrein. La lunga mano di Sheykh Jassim arriva ovunque. Senza dubbio questo emirato ha imparato a elevarsi e di certo avrà la meglio nell’inverno islamico.

Traduzione di Carlotta Caldonazzo