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Il processo a Mubarak e il retaggio di Morsi

Di Abdulrahman al-Rashed. Asharq al-Awsat (04/12/2014). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.

Hosni Mubarak, il deposto presidente dell’Egitto, è semplicemente un simbolo del passato. La sua carriera politica è morta nel febbraio 2011, a seguito della forte opposizione nei suoi confronti, specie da parte dell’esercito. È uscito di scena definitivamente e nessuno si illudeva che potesse mai tornare al potere, pertanto ci si aspettava che fosse rilasciato poco dopo l’arresto. Invece, è rimasto in prigione e potrebbe morire lì se il tribunale non autorizzerà la sua liberazione e quella dei 2 figli.

Persino al culmine delle richieste popolari di sottoporlo a processo, alcuni invitavano alla riconciliazione, alla luce della fase di transizione politica attraversata dal Paese. Tuttavia, gli stessi ritenevano che solo un presidente legittimamente eletto potesse prendere questa decisione. Ma quando il primo presidente eletto, Mohammed Morsi, è giunto al potere, invece di dichiarare un’amnistia generale, lanciare una nuova era priva di vendette e aprire la porta alla riconciliazione, ha rigettato questi appelli, graziando soltanto i detenuti appartenenti al suo movimento, i Fratelli Musulmani. Il governo di Morsi si è concentrato sulla lotta per il controllo della magistratura e dei procuratori di Stato nonché sulla caccia agli avversari, giungendo al collasso dopo appena un anno.

Per una fazione di egiziani è naturale condannare l’assoluzione di Mubarak e la sua liberazione. È altresì naturale per un’altra fazione rigettarne la detenzione. Tuttavia, la questione non è prosciogliere Mubark o liberarlo. La domanda più rilevante è: perché Mubarak è stato posto in detenzione pur avendo annunciato che si sarebbe dimesso e che non aveva alcuna intenzione di sfidare i rivoluzionari dopo che l’esercito gli si era rivoltato contro?

La maggior parte dei regimi che iniziano il proprio governo con rappresaglie, non riusciranno a essere stabili: dalla rivoluzione francese e russa ai colpi di stato militari arabi. Il caso più recente è la guerra in Iraq, risultato dello sradicamento di Saddam Hussein e del suo entourage. Nelson Mandela, invece, non è stato solo capace di rimuovere il regime razzista bianco in Sudafrica, ma è riuscito anche a realizzare la coesistenza tra diversi gruppi sociali mandando i colpevoli davanti ai tribunali dove hanno confessato i loro crimini e si sono scusati. Morsi, perseguitando i membri del regime di Mubarak, ha spianato la strada ai suoi oppositori che gli hanno riservato lo stesso trattamento nella seconda rivoluzione del 30 giugno 2013, che l’ha deposto.

Qualora fosse rilasciato, è improbabile che Mubarak viva abbastanza a lungo per godersi la libertà, perché malato da quasi dieci anni e la sua lunga malattia ha in parte portato al crollo dello Stato che era incentrato su di lui e sul figlio Gamal. Era un dittatore incompetente, ma non brutale come sostengono le voci. La sua stupidità risiedeva nell’incapacità di capire l’opportunità storica di condurre l’Egitto verso un regime civile e democratico. La sua decisione di concedere le elezioni presidenziali nel 2005 è stato il risultato di pressioni occidentali, ma ha manipolato i risultati per restare al potere e la rivoluzione è stata una possibile conseguenza.

Mubarak è stato un uomo autoritario, testardo e disonesto, ma non assetato di sangue come gli altri uomini della regione. Il suo processo è semplicemente un segno che la situazione politica nel Paese è stata turbata e che senza la riconciliazione la società egiziana continuerà a sopportare un terribile onere.

Abdulrahman al-Rashed ex caporedattore di Asharq al-Awsat, è il direttore generale di Al-Arabiya.

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Roberta Papaleo

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