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Il nuovo approccio che serve in Siria

Siria

Di International Crisis Group. Your Middle East (02/09/2015). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

La guerra in Siria imperversa, il suo devastante prezzo pagato dai civili cresce senza alcuna soluzione politica in vista. Gli Stati Uniti si trovano nella posizione migliore per trasformare lo stato attuale. Una svolta significativa ma realistica nella loro politica che si basasse sul dissuadere, scoraggiare o impedire al regime di condurre attacchi aerei sulle zone controllate dall’opposizione potrebbe aumentare le probabilità di una soluzione politica. Una svolta simile potrebbe iniziare nel sud della Siria, in cui le condizioni sono al momento più favorevoli in tal senso.

Anche se la Casa Bianca ha dichiarato il suo desiderio di porre fine al governo di Bashar al-Assad, ha evitato passi concreti verso quest’obiettivo, perseguendo invece una strategia per “far retrocedere ed infine distruggere” Daesh (ISIS), che considera una minaccia più seria ai propri interessi. Eppure, dopo un anno di questa strategia, il potere complessivo dei gruppi salafiti-jihadisti in Siria ed in Iraq è cresciuto. Non è una sorpresa: la strategia settaria del regime di Assad, le sue tattiche di punizione collettiva e il suo far affidamento su milizie supportate dall’Iran – tra altri fattori – aiutano a diffondere condizioni ideali per il reclutamento da parte di questi gruppi.

Se si vuole evitare che i gruppi salafiti e jihadisti acquisiscano una trazione ancora maggiore, bisogna mettere in atto una strategia tra i sostenitori dell’opposizione perché rafforzino elementi credibili che riempiano i vuoti militari e civili sul territorio istituendo amministrazioni civili efficaci. Il sud della Siria, in cui i gruppi salafiti-jihadisti sono più deboli, è il terreno più favorevole per cominciare. Resta pur vero che gli elementi dell’opposizione non possono costruire una governance efficace tra la morte e la distruzione causate dai bombardamenti aerei, soprattutto vista la tendenza del regime di prendere di mira proprio quelle strutture necessarie per la capacità di emergere.

Gli Stati Uniti potrebbero anzitutto consentire a gruppi dell’opposizione di consolidare un controllo militare e stabilire una governance nel sud. Ciò li rafforzerebbe anche come credibilità rispetto ai gruppi salafiti-jihadisti e incentiverebbe lo sviluppo dei moderati come attori politici in grado di governare quelle zone. In secondo luogo, gli Stati Uniti dovrebbero ottenere una zona priva di attacchi aerei nel sud da parte del regime. Farlo rispetto al sud manderebbe un segnale che questo potrebbe avvenire anche al nord.

Infine, se gli Stati Uniti facessero pressioni perché gli attacchi aerei nel sud smettessero, dimostrerebbero ai sostenitori più importanti del regime – Iran e Hezbollah – che i loro investimenti nello stato attuale avranno entrate ancora minori. Iran e Hezbollah presumono che il mero concentrarsi su Daesh da parte degli Stati Uniti e la riluttanza a scontrarsi col regime li stiano spingendo verso una accettazione della sopravvivenza politica di Assad e perciò verso una risoluzione del conflitto che appare più favorevole proprio per Iran e Hezbollah.

L’iniziativa americana qui descritta potrebbe aiutare a confutare tale assunto e dare peso alle affermazioni della Casa Bianca per le quali l’accordo nucleare non spianerà la via all’egemonia iraniana nella regione. Gli Stati Uniti dovrebbero comunque mostrare la propria volontà di prendere in considerazione gli interessi principali anche di chi sostiene il regime riguardo a un qualsiasi piano per porre fine alla guerra.

L’International Crisis Group è un’organizzazione indipendente, no-profit e non governativa impegnata nel prevenire e nel risolvere conflitti.

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