Di Mustafa Ashur. Al-Araby al-Jadeed (21/01/2016). Traduzione e sintesi di Irene Capiferri.
La faccenda dei negoziati del governo egiziano sulla questione della diga Al-Nahda (la Grand Reinassance Dam), che risponda alle richieste del suo popolo, preservi i suoi diritti storici e soprattutto la sua sicurezza nazionale, è alquanto bizzarra. Intanto, le dichiarazioni del governo sollevano molti punti interrogativi, considerando che la diga è stata ufficialmente riconosciuta e che la sua costruzione è arrivata ormai a più del 55%.
L’Egitto, durante gli incontri a Khartoum, aveva richiesto di aumentare i rilasci della diga. Al rifiuto etiope a negoziare su tale punto, invece di prendere una posizione forte riguardo l’estensione del lago formato dalla diga, la cui capacità è di 74 miliardi di metri cubi e i cui anni per il riempimento e la messa in funzione sono stimati secondo i piani etiopi a non più di 3, il governo egiziano si è concentrato su punti meno salienti, dimenticando o fingendo di dimenticare la cosa più importante, mentre la costruzione procedeva.
Che le richieste siano giunte tardi, che vengano poi studiate, discusse e infine rifiutate, è accaduto già molte volte dall’inizio delle trattative, dando l’impressione di uno spreco di tempo riguardo punti inutili da toccare a costruzione ormai iniziata. Ma molti egiziani si chiedono cosa fare, se adeguarsi al fratello sudanese o meno.
A chi segue i progressi della vicenda, sembra che chi sta portando avanti i negoziati da parte egiziana voglia prolungarli e mantenere il punto su alcuni argomenti, dando l’impressione al popolo egiziano di un’Etiopia intransigente da cui è impossibile ottenere qualcosa. Ma non è chiaro cosa abbiano ottenuto i negoziatori, cosa è stato concesso, cosa realizzato nello specifico. Soprattutto dal momento che il presidente egiziano ha ammesso che la diga causerà danni e ha chiesto al popolo di prepararsi a questa eventualità.
Molte supposizioni sono sorte riguardo tale posizione egiziana: alcuni dicono miri a perdere tempo senza fare gli interessi del Paese, portando all’ipotesi che esiste un’intesa tra Egitto, Etiopia e Sudan e che si stia preparando il popolo egiziano ad accettare la diga e la condivisione del bacino nell’attesa di una soluzione globale al problema dell’acqua. E ciò che è stato diffuso riguardo il politico israeliano Peres, consolida questa visione: pare che abbia chiesto al governo egiziano di non entrare in conflitto con l’Etiopia in cambio dell’offerta di tecnologie israeliane per l’irrigazione e l’agricoltura all’Egitto.
Chi sostiene questa linea ritiene che all’Egitto resti un’unica soluzione: la richiesta diretta all’Etiopia di ridurre le dimensioni del lago e fare a meno di una seconda diga ausiliaria, oppure ridurne la capacità e lavorare per stabilire un principio di collaborazione e benefici comuni, oltre alla richiesta di prolungare il periodo del riempimento della diga fino a 5 o 6 anni. Senza questo percorso, il cammino dei negoziati diventa un percorso di strade secondarie.
Ciò che succede in realtà non è chiaro, pare ci si sforzi ad allungare il tempo dei negoziati per permettere il completamento della diga alle condizioni etiopi, senza il raggiungimento di obiettivi concreti, e ignorando il fatto che il popolo egiziano non accetterà questo fallimento, e forse ribalterà del tutto la situazione.
Mustafa Ashur è un giornalista egiziano specializzato in agricoltura e irrigazione.
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