Di Rahil Zaidan. Al-Modon (29/03/2015). Traduzione e sintesi di Marianna Barberio.
Il conflitto israelo-palestinese ha contribuito non solo alla dislocazione territoriale dei palestinesi, ma anche a quella identitaria. L’allontanamento dalla propria terra, dalle proprie radici e cultura mira ad un annientamento di quell’identità personale che i giovani palestinesi cercano di preservare contro l’oblio.
In tal senso i murales dei campi profughi evidenziano un legame diretto con la Palestina, e permettono il ritorno alla terra d’origine; il disegno diviene racconto ed espressione identitaria e culturale. Questo è quanto evidenziato dall’artista Tania Nabulsi del campo profughi di Beddawi in Libano: “Il disegno diviene lo strumento attraverso cui ritorno alla mia patria, proteggendo la mia storia e la mia terra dall’estinzione”. Tra i suoi graffiti vi sono l’immagine di una chiave per ricordare la sua casa in Palestina, o quella di alberi di ulivi e mandorle come a restituire alla Palestina il suo territorio.
Per Rola, invece, è la scrittura simbolo della sua identità palestinese. Infatti attraverso le parole riesce a far conoscere la sua storia al mondo, sull’esempio del poeta Mahmoud Darwish o dello scrittore Ghassan Kanafani. Rola sostiene che il suo status di rifugiata non le permette di avere un ricordo diretto e vivido della Palestina, un legame che cerca nella letteratura, nella storia e nella politica. È nella poesia che riscopre la sua identità.
Il concetto di identità per i profughi palestinesi assume dunque dimensioni diverse e complesse, lontane dalla nozione generale e acclamata di identità come inclusiva del concetto di cultura, lingua e norme ereditate. L’identità per i palestinesi è impressa in quell’esilio forzato e nella perdita del senso spaziale di identità. Ne derivano svariate interpretazioni.
Ad esempio, per Ahmad (membro di un’associazione giovanile che mira ad aiutare i giovani palestinesi a creare la propria identità) vi è una distinzione tra identità personale e culturale. Mentre la prima si ottiene alla nascita e ci accompagna fino alla morte, l’identità culturale “cambia e cresce in rapporto alle nostre attività e ai nostri successi”.
Di contro, Samir contrasta la visione di identità come auto-invenzione, specie in riferimento all’identità nazionale e scopre quel senso perduto di appartenenza nei racconti di suo nonno. Egli afferma: “I racconti e le storie di mio nonno sulla Palestina, i suoi villaggi e i suoi alberi di ulivi e mandorle, mi permettono di entrare in contatto diretto con la Palestina stessa, sebbene non l’abbia mai vista.” Così per Samir il ricordo dei nonni o della generazione della nakba è alla base della causa e dell’identità palestinese.
Rahil Zaidan è addetto stampa per l’associazione libanese Najdeh che mira ad aiutare i profughi palestinesi in particolare nel settore dell’istruzione e dello sviluppo.
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