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Il clima mondiale al tempo degli attacchi a Parigi

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L’opinione di Al-Quds. Al-Quds al-Arabi (29/11/2015).  Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.

Lunedì si è aperto il più grande vertice mondiale della storia sul clima con la partecipazione di circa 45 mila persone e rappresentanti di 195 Paesi, fra cui 150 capi di Stato e di Governo. In questa conferenza che si tiene a Le Bourget, vicino Parigi, è difficile non rievocare la memoria delle 130 vittime degli attentati avvenuti nella capitale francese il 13 novembre e ignorare il rapporto fra il clima e la sicurezza mondiali. Infatti le consultazioni si sono aperte domenica osservando un minuto di silenzio in onore delle vittime degli attentati.

Le misure di sicurezza, che dopo gli attentati hanno impedito a oltre mille persone di entrare in Francia, si sono sovrapposte ad altri provvedimenti volti a far fronte alle manifestazioni a favore di  misure decisive sul clima. I manifestanti hanno così sfidato lo “stato di emergenza” e hanno lanciato scarpe e bottiglie contro la polizia, mentre le forze di sicurezza hanno risposto lanciando gas lacrimogeni e arrestando oltre cento manifestanti. Gli slogan scanditi dai contestatori, come “stato di emergenza sociale e climatico”, riassumono il senso dello stretto rapporto fra clima e sicurezza.

Non è strano che queste manifestazioni di protesta contro l’apatia mondiale nei confronti dei devastanti cambiamenti climatici siano coincisi anche con manifestazioni di protesta in Gran Bretagna e in Spagna contro la partecipazione di questi Paesi alla campagna in Siria. Queste manifestazioni rievocano il “clima” alla vigilia dell’attacco americano-britannico in Iraq che ha portato a veri disastri in termini di sicurezza (e climatici) che ora si riflettono sull’infausta correlazione tra il terrorismo e le catastrofi climatiche che colpiscono il mondo. Questo ha reso l’anno in corso uno dei peggiori a livello di clima e di sicurezza.

Il rapporto fra gli squilibri climatici e l’aggravarsi delle lotte mondiali è chiaro: il mutamento climatico infatti influisce sulla sicurezza alimentare, idrica e sulla salute, fattori che alimentano le proteste, le rivoluzioni e le migrazioni. Secondo numerosi esperti, la siccità è stato uno dei fattori determinanti nella rivoluzione siriana che ha portato tra il 2006 e il 2011 allo sfollamento di oltre 800 mila contadini che si sono concentrati in zone povere e emarginate all’interno delle città siriane. La cattiva amministrazione delle risorse, l’improvvisa cancellazione dei sussidi governativi e l’incapacità dello Stato di affrontare la crisi umanitaria e ambientale, nonché l’enorme repressione delle proteste hanno portato a un degrado senza precedenti delle condizioni di sicurezza così come di quelle ambientali. Ciò ha reso la geografia siriana idonea a ogni forma di polarizzazione e strumentalizzazione politica.

L’atteggiamento che separa il terrorismo dalle ingiustizie politiche, economiche e sociali è equiparabile alla riluttanza dei Paesi maggiormente responsabili del mutamento climatico ad assumersi le proprie responsabilità. La forma più eloquente del legame fra questi due elementi, tuttavia, è il fatto che ignorare o sfuggire alle loro conseguenze fa sì che si trasformino in altri insormontabili problemi che mettono in discussione ogni forma di vita su questo pianeta e non solo gli interessi di pochi che sfruttano le risorse della terra, o di un sistema prepotente che uccide i propri cittadini, poiché quando si abbatte la catastrofe coinvolge tutti.

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