Intesa tra Putin e Erdogan che ridefinisce i rapporti di forza così come sanciti a Sochi nell’ottobre 2018, con Putin garante per l’ennesima volta della fine del conflitto.
di Manhal Barish, al-Quds, (07/03/2020). Traduzione e sintesi di Livio D’Alessio
L’accordo di Mosca ha spiazzato gli oppositori del regime di al-Assad e i gruppi estremisti protetti dalla Turchia. L’intesa giunge a complemento dell’accordo di Sochi del 2018 firmato da Putin e Erdogan per fermare le ostilità nella zona di de-escalation nella provincia di Idlib.
I due presidenti hanno raggiunto un accordo sul piano addizionale dopo un colloquio a porte chiuse durato circa due ore e mezza, a cui hanno preso parte successivamente le rispettive delegazioni militari e diplomatiche. L’accordo enfatizza tre punti: la cessazione di tutte le operazioni militari lungo la linea di demarcazione tra le parti in conflitto a partire dalla mezzanotte del 6 marzo 2020”, “la costruzione di un corridoio di 6 chilometri lungo l’autostrada M4 e un accordo, da raggiungere entro sette giorni, su specifici criteri per il suo funzionamento.
La mobilitazione politica e mediatica promossa dalla Turchia, dopo che 34 soldati del suo esercito sono stati uccisi in un bombardamento nella zona di Jabal al-Zawiya, dimostra che Ankara si stava predisponendo a un lungo confronto, o perlomeno che le circostanze non si sarebbero risolte come invece è avvenuto al Cremlino nella serata di giovedì.
Erdogan si è recato a Mosca dopo aver compiuto sul campo una mossa militare dalle efficaci ripercussioni: l’offensiva aerea “Spring Shield”, con la quale la Turchia si è riappropriata di diversi villaggi e città nella zona rurale a ovest di Idlib, ha bombardato centinaia di obiettivi, provocando una netta perdita alle forze del regime. Ciò è avvenuto in concomitanza della visita di una delegazione diplomatica nella provincia, fra i cui presenti vi erano l’inviato speciale in Siria, James Jeffrey e il delegato americano presso le Nazioni Unite, Kelly Craft, i quali si sono incontrati con rappresentanti di organizzazioni civili e umanitarie e membri della protezione civile.
Jeffrey ha espresso il sostegno del suo paese alla Turchia dichiarando che “gli Stati Uniti hanno già offerto assistenza umanitaria, stanno condividendo informazioni con la Turchia oltre a fare pressioni sugli alleati europei affinché forniscano un contributo significativo”.
L’inviato americano ha descritto l’intervento militare turco in Siria come “un’azione legittima, specialmente quando ci sono frontiere, per il bene della sicurezza nazionale”.
Nonostante il pieno sostegno di Jeffrey alle politiche di Ankara in Siria, quest’ultimo ha sottolineato che l’acquisto da parte della Turchia del sistema missilistico russo di difesa antiaerea S-400 “è una questione molto seria e fonte di grande preoccupazione, e arriva in un momento in cui stiamo cercando modi per fornire loro aiuti”.
Il presidente turco ha fatto un passo indietro rispetto alle sue precedenti dichiarazioni, approvando la modifica delle operazioni militari e riconoscendo le nuove linee di demarcazione.
Dal documento si evince la revoca di qualsiasi ruolo destinato alle forze turche sull’autostrada M5, a significare che Ankara ha rinunciato al suo ruolo militare, politico, e in minor parte economico, tanto desiderato, pur mantenendo il controllo su un piccolo tratto che collega Aleppo a Gaziantep.
L’accordo lascia in sospeso l’area di Jabal Al-Zawiya, non fornisce chiarimenti circa il suo futuro, né conferma l’astensione del regime dal venirne in possesso, fornendo così un pretesto per il proseguo dell’operazioni militari nella zona.
La considerazione dell’M4 come corridoio di sicurezza sancisce la presenza del regime assieme ai pattugliamenti congiunti di Russia e Turchia. Tuttavia, il ruolo turco nel corridoio sarà formale e non avrà reali poteri o capacità effettive per prevenire l’avanzata del regime. Naturalmente, le esperienze passate della Russia hanno dimostrato il suo disappunto verso scenari di controllo congiunti o eterogenei. In questo contesto, la portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha dichiarato a poche ore dall’accordo che “le operazioni tese a porre fine alla presenza dei miliziani in Siria sono compito delle forze armate siriane e di quei paesi presenti su base legale che collaborano con le autorità siriane”, trascurando apertamente qualsiasi ruolo turco nella questione.
In conformità all’accordo, il dispiegamento delle forze del regime comporterà l’evacuazione di diverse città su entrambi i lati della autostrada ad una profondità di 6 km, parti della piana di al-Ruj, il Ghab settentrionale e le estremità meridionali del monte Turkmen.
Forse è troppo presto per esprimere un giudizio definitivo sulla sorte dell’accordo. Darà a quanti fuggono dai bombardamenti russi la possibilità di prendere fiato, allestire tendopoli, ma in definitiva non impedirà la distruzione di altre territori e non garantirà loro un ritorno sicuro e volontario alle loro case.
Manhal Barish è un giornalista siriano.
Vai all’originale
Add Comment