Di Tine Lavent. Al Arte Magazine (07/08/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
In copertina, un’immagine dell’esibizione “Femme voilée dans une boîte” di Sonia Merazga.
A partire dal 2011, i giovani musulmani francesi hanno iniziato a sentirsi a disagio nel loro Paese e molti sono emigrati, in cerca di un ambiente meno violento nei confronti della religione. Questo ricorda molto la storia di Sonia Merazga. Ho visto l’artista franco-algerina per la prima volta nella sezione femminile della moschea di Kapitan Keling, a Georgetown in Malesia. Dopo esserci scontrate per caso, ho saputo che Sonia e suo marito erano in giro per il mondo a cercare una casa con cui rimpiazzare la Francia. Parigi ed il governo che ospita continuavano a deluderli, soprattutto in qualità di musulmani.
La chiamano “La Hijra dei Mugnai”. Il viaggio li ha condotti attraverso la Turchia, l’Iran, gli Emirati Arabi Uniti, l’India, la Thailandia, la Malesia, l’Indonesia, il Giappone, gli Stati Uniti e il Canada. Si tratta di scoprire, vedere, conoscere i musulmani che vivono in questi posti – e anche di più: “Per noi, si tratta di lasciare il posto dove vivevamo e trovarne uno che si adattasse a noi da un punto di vista ideologico e religioso. Si tratta di trovare un Paese dove sentirci bene”, spiega Sonia. “Il fatto è che in Francia hanno un problema con la religione, in particolare con l’islam. Trattano ancora i musulmani come immigrati, anche se sono cittadini francesi. Ciò provoca la schizofrenia dei musulmani che vivono lì: si sentono costantemente rifiutati, come se fossero rispediti alle origini. C’è tanta frustrazione e rabbia. Non è salutare”.
Ciò che fa Sonia è definito “artivismo”, cioè arte socialmente impegnata: “È arte attivista. Non posso produrre un’opera solo per il piacere estetico. Critico l’ingiustizia e l’ipocrisia occidentale perché non sono d’accordo con quanto sta accadendo nel Paese in cui vivo. Voglio cambiare le cose e la mia arte è l’unica maniera che ho di farlo. La mia arte può toccare le persone e spingerle a cambiare, a sensibilizzarsi. Il nostro viaggio mi ha molto ispirato e commosso – ora ci sono così tante questioni che voglio affrontare con le mie opere”.
I suoi dipinti e le sue foto parlano della manipolazione dello spiriti umano. Il tema centrale è il modo in cui ci illudiamo sulla democrazia. Le sue opere d’arte rappresentano come ci prendiamo in giro illudendoci di essere liberi.
In Francia, Sonia si è garantita una certa notorietà con una sua esibizione in pubblico: rinchiusa dentro un cubo trasparente e indossando un velo, ha voluto rappresentare una donna velata imprigionata dalla società francese. “Sfortunatamente, i politici francesi hanno deciso di combattere le donne velate e la visibilità delle donne musulmane. Le attaccano su tutti i fronti, come l’istruzione e il lavoro. Il mio Paese, dove sono cresciuta, che continua a dirmi che è il Paese dei diritti umani e della libertà: era troppo contraddittorio per me, così sbagliato! Come può una donna guadagnarsi l’indipendenza se non può né lavorare né essere istruita? Questa contraddizione mi ha permesso di dimostrare il significato di tutto ciò: che stiamo venendo ridotti a oggetti”.
Sebbene si siano resi conto che nessun posto era quello ideale, Sonia e suo marito hanno deciso di mettere radici in Marocco per il momento. Per quanto si sia concentrata sulla politica francese, le prossime opere di Sonia avranno di certo un tocco molto più internazionale.
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