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Hezbollah e i suoi amici…

Libano: i chiari equilibri di potere a cui Hezbollah non può sottrarsi

di Hazem Saghieh, Al-Sharq al-Awsat, 25/03/2020. Traduzione e sintesi di Maddalena Goi

La cosa più importante che emerge dall’ultimo discorso del Segretario Generale di Hezbollah, è la trasformazione dalla negazione al riconoscimento. Negazione in senso di immagine del partito che combatte una lotta per la verità, una lotta che non si preoccupa degli equilibri di potere, orientata alla realizzazione della “vera promessa”. Questa immagine ha permesso di focalizzare il discorso in nome del popolo libanese e la minaccia ai nemici del partito, indicati di conseguenza come nemici dei libanesi. Ciò ha permesso a Hezbollah di radunare intorno a sè un numero imprecisato di fazioni, ideologie e sogni infranti che contavano sul partito per farli rivivere nuovamente.

Riconoscimento significa invece comunicare chiaramente ai libanesi che il partito è governato da equilibri di potere ben definiti e che ci sono cose che può fare e altre che non è in grado di fare.  Per estensione, la dichiarazione indica quanto segue: questi equilibri si sono deteriorati a svantaggio del partito dopo le sanzioni americane contro l’Iran, i cui effetti hanno raggiunto anche il Libano. Ciò ha messo in crisi anche il governo di Hassan Diab già in evidenti difficoltà economiche. Dall’altra parte, la rivoluzione ha dimostrato che le scelte della maggioranza dei libanesi non corrispondono con quelle di Hezbollah. Ma prima di questi ultimi squilibri, ci sono stati molti precedenti nella storia del partito che, nei momenti difficili, si è dovuto piegare agli equilibri di potere: dall’”intesa” dell’aprile del 1996 fino alla risoluzione del consiglio di sicurezza n.1701, a seguito della guerra del 2006. E tra questi va citata anche l’”intesa” con coloro che sono stati descritti dai media come agenti di America e Israele. Quest’ultima ha avuto come effetto la spaccatura del blocco popolare che accerchiava Hezbollah dopo l’assassinio di Rafik Hariri. Ma questa “intesa” non ha ingannato nessuno, il sesto articolo dice chiaramente: “sulla base delle nostre convinzioni, la presenza di qualsiasi libanese nella propria terra è meglio che nella terra del nemico, pertanto la soluzione al problema dei libanesi che si trovano in Israele richiede un impegno rapido per farli ritornare in patria; prendendo in considerazione tutte le condizioni politiche, di sicurezza e di vita che ruotano intorno all’argomento. Rivolgiamo quindi loro un appello affinché tornino rapidamente in patria, guidati dall’appello di sua eminenza, Sayyed Hassan Nasrallah, dopo il ritiro israeliano dal sud del Libano e con l’ispirazione delle parole del Generale Aoun espresse durante la prima seduta del Consiglio dei Rappresentanti.” Il generale di brigata in pensione Fayez Karam è stato uno dei beneficiari di questo articolo.

Di certo Hassan Nasrallah, contrariamente a quanto affermato nel suo ultimo discorso, era consapevole dell’ordine di rilascio di Amer Fakhoury ma una dichiarazione del genere non sarebbe tollerata dal partito poiché non solo sconvolgerebbe la sua immagine e la sua stessa causa ma anche quella di un pubblico cresciuto su questa immagine, cioè quella della negazione. Nasrallah, d’altra parte, non può nominare nessuna parte politica che osi chiedere il rientro di Amer Fakhoury, poiché rischia di rimanere senza quegli alleati che gli facilitano le missioni in Siria e all’estero, aumentando quegli squilibri di potere a suo svantaggio. E’ difficile scindere ciò che è accaduto in Libano dall’Iran che nel frattempo ha deciso il rilascio dell’americano Michael White “per motivi di salute e umani”, detenuto dal 2018. L’Iran ha anche chiesto al FMI un prestito urgente del valore di $ 5miliardi, forse dopo aver raggiunto nuove intese con gli americani in Iraq. 

In altre parole, Hezbollah si è comportata in modo sconsiderato. Il suo segretario generale, Sayeed Nasrallah, consapevole dei giochi di potere nel paese e nella regione, ha ripetuto l’espressione di Pierre Gamayel, fondatore del partito delle Falangi Libanesi: “la forza del Libano è nella sua debolezza”. Si tratta di una disfatta dolorosa che Nasrallah non è riuscito a evitare. Per questo lo abbiamo visto rivolgersi agli amici e non ai nemici che di solito minaccia. Invece delle solite grida, ha esordito con un linguaggio che suonava come un doppio e risoluto avvertimento: non vi permettiamo di tradirci né vi permettiamo di insultarci. Si è rivolto agli amici come fanno i leader politici con i loro compagni: la loro voce precede il loro pensiero mentre la loro responsabilità si ferma alla descrizione della situazione. Si è rivolto a loro per spiegare cosa non può davvero dire, né a loro e né ad altri. Se escludiamo conti personali e intenzioni di ogni tipo, sembra che ciò che realizzano questi amici non sia molto: gli equilibri di forza in Libano e nella regione sono loro sconosciuti e sconosciuto è anche il tempo che sta cambiando, di certo non siamo più ai tempi di Abd el-Nasser, della resistenza palestinese o del mondo socialista. Ma la cosa per loro più sconosciuta rimane Hezbollah che non lavora per servire le loro passioni e non presenta nessuno scenario di liberazione. Hanno fallito e continuano a fallire da allora.

Quindi, né la loro realtà è la realtà attuale, né il loro tempo è il tempo attuale, né Hezbollah è l’Hezbollah che si immaginano. Nel frattempo, si capisce che Nasrallah sarebbe arrivato a quel cliché che dice: con tali amici non ho bisogno di nemici.

Hazem Saghieh è un analista politico libanese

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