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Gaza: la peculiarità della campagna israeliana è l’incoerenza

Di Peter Beaumont. The Guardian (19/11/2012). Traduzione e sintesi di Giusy Regina.

Le operazioni militari hanno una propria logica e si può dire di aver raggiunto un obiettivo quando le circostanze politiche e militari guidano la dinamica, andando oltre anche a quelle che erano le intenzioni iniziali dei combattenti.

Se si prova a fare un parallelo tra le operazioni militari attuali e quelle lanciate contro Gaza quattro anni fa, si percepisce l’unanimità della società israeliana mobilitata e la chiarezza di obiettivi che hanno caratterizzato il passato.

Se c’è una peculiarità invece in questa campagna, è la completa aura di incoerenza che la caratterizza.

Molto è cambiato in quattro anni. I governi che una volta simpatizzavano per Israele, tra cui anche Egitto e Turchia, si sono avvicinati ad Hamas, il quale non può non essere consapevole di cosa questo significhi a livello politico. Un attacco che doveva essere limitato adesso è vincolato da una logica di escalation.

Il messaggio che arriva dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e dal suo entourage sembra spesso confuso. Parte del problema è capire cosa egli vuole. Negare l’intenzione di rovesciare Hamas ha già dimostrato in passato la sua inutilità: sia Hamas che Hezbollah – della guerra contro il Libano del 2006 – sono riemersi con arsenali ancora più potenti.

Se c’è una peculiarità in questa campagna, è ancora l’aura di incoerenza che la caratterizza.

La tattica preferita di Netanyahu è sempre stata quella di prevenire più che curare, anche negli spinosi rapporti con Obama. Ma il momento adesso è stato davvero particolare, come ha sottolineato l’attivista di pace israeliano Gershon Baskin, che sostiene anche che quando il militante di Hamas al-Jabari è stato ucciso, si stava prodigando per firmare un piano formale per il cessate il fuoco. Anche per questo molti hanno pensato che l’attacco di Israele sia stato volto a minare gli sforzi che Abbas stava facendo verso le Nazioni Unite.

Le conseguenze di tutto ciò potrebbero non essere visibili a breve termine, ma sicuramente vanno a complicare la politica estera statunitense, rischiando una sorta di isolamento per Israele.

Qualcosa di pericoloso si è scatenato in un momento di crescente instabilità regionale. E purtroppo ormai “quel che è fatto è fatto” e difficilmente si potrà tornare indietro.