Di Saeb Erekat, Sharq al-Awsat, (17/03/2018). Traduzione e sintesi di Sabrina Campoli.
Sono trascorsi 12 anni, un mese e 14 giorni dall’inizio dell’occupazione israeliana illegale della Striscia di Gaza, teatro di condizioni umane estremamente difficili e di misure di oppressione dannose per la vita della popolazione palestinese.
Più di un milione di palestinesi vivono nella Striscia di Gaza, un’area grande quasi quanto Washington ma con una popolazione quattro volte maggiore. Israele, la forza occupante, controlla questa zona tramite terra, aria e mare, impedisce la comunicazione con il mondo esterno e sferra attacchi contro i civili. La Striscia non rappresenta una “crisi umanitaria”, bensì la crisi della coscienza umana del XXI secolo e della responsabilità della comunità internazionale di porre fine all’occupazione militare. Con gli ultimi attacchi israeliani, il mondo ha assistito all’espulsione forzata di più di mezzo milione di palestinesi, ai bombardamenti e all’uccisione di circa 2100 palestinesi innocenti, compresi bambini; è stato testimone dell’unico ospedale che forniva cure mediche di base a migliaia di feriti.
Riusciamo ad immaginare cosa succerebbe se tutti gli abitanti di New York e del Colorado venissero cancellati dalla cartina degli Stati Uniti? Perché è questo a cui aspira Israele.
Il Presidente Mahmud Abbas ha visitato diverse capitali mondiali in nome della ricostruzione della Striscia di Gaza; al contrario, la comunità internazionale si è data da fare per assicurarsi la somma della ricostruzione che avrebbe dovuto pagare Israele, invece di contestare l’aggressione israeliana e la pulizia etnica avviata contro il popolo palestinese. A metà di questa settimana, l’amministrazione americana ha indetto una conferenza per discutere di “salute, sicurezza e benessere del popolo della Striscia di Gaza”, sebbene nelle ultime due settimane siano diminuiti gli aiuti umanitari e i fondi UNRWA destinati all’80% della popolazione, ma ha ignorato il problema della fine dell’occupazione, la questione dei rifugiati che rappresentano il 75% della popolazione, il rifiuto di Israele di concedere i permessi per le cure mediche, il problema dell’acqua non potabile e del cibo non commestibile; per giunta, Israele, ha impedito ai pescatori palestinesi di raggiungere il nostro confine marittimo.
La conferenza ha lasciato intendere che i responsabili di questa “tragica situazione” sono i palestinesi stessi o che essa è semplicemente il risultato di circostanze sconosciute! Ma sappiamo che la crisi è dovuta a Israele e alle sue politiche di estrema destra condivise dalla comunità internazionale, in accordo con i cosiddetti “scopi di sicurezza israeliani”. Sarebbe stato utile indire una conferenza per porre fine all’occupazione e negoziare una soluzione per due Stati.
In Sudafrica, Nelson Mandela ha affermato che “la strada verso la libertà è lunga”, e noi aggiungiamo che le future generazioni di palestinesi saranno illuminate da ciò che i loro padri e antenati hanno costruito su questa terra fin dagli albori della storia.
Saeb Erekat è un diplomatico palestinese, capo de Comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina fino al 2011.
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