Di Colleen Boland. Your Middle East (09/10/2014). Traduzione e sintesi di Marta De Marino.
In molti sostengono che il sistema legislativo mediorientale, strettamente connesso ai precetti islamici, sia fondato sulla diseguaglianza. Difatti, i suddetti sistemi, spesso, si scontrano in materia di discriminazione della donna con le regolamentazioni internazionali dettate dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni che operano a favore dei diritti fondamentali dell’essere umano.
Uno dei principi islamici additato come fonte primaria di diseguaglianza è la cosiddetta qiwama, la supremazia dell’uomo sulla donna, che da sempre accende discussioni sull’imparità delle condizioni tra uomo e donna insita nella leggi locali.
Tuttavia, c’è chi asserisce che l’islam non ha radici nella diseguaglianza e a farlo sono le femministe islamiche, che a gran voce si battono per leggi più progressiste e per i diritti della donna. Le femministe islamiche fiere del loro credo, della loro cultura e della loro tradizione lottano strenuamente per riforme e interpretazioni legislative che riflettano i tempi e il loro ruolo nella società di oggi.
Queste donne non puntano il dito contro l’Islam, identificandolo come seme della diseguaglianza, ma incolpano leader e figure della società, che forgiano un Islam a favore dei propri fini politici, opprimendo così una grande fetta della società e di conseguenza vessando la libertà delle donne. Le femministe islamiche non vogliono sradicare dalla sfera civile l’Islam, ma lottano per la ribalta di Donne credenti. Zira Mir Hosseni dichiara che: “il principio della qiwama può essere spiegato con diverse interpretazioni, ma le femministe credono che l’elite maschile abbia sfruttato e interpretato nella storia principi e leggi come quelle ad appannaggio delle loro politiche”.
In che modo le femministe islamiche propongo il cambiamento? Guardando all’interpretazione delle scuole giuridiche Hanbalita e Malikita che vedono con favore la figura della donna, affermano alcune; altre invece, si battono per far valere leggi federali che impongano un’età minima alle giovani spose. Le risposte sono tante, ma altrettante sono le critiche e forse basterebbe apprezzare e rispettare l’essenza di ogni singola donna, far sbocciare i loro interessi e lottare così la discriminazione.
Collen Boland ha lavorato in diverse ONG nella sua città natale,Washington, DC. È laureata in Studi del Vicino e Medio Oriente presso la Scuola di Studi Orientali e Africani (University of London).
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