Di José Miguel Calatayud. El País (09/11/2013). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Volendo evitare che ragazzi e ragazze vivano negli stessi appartamenti, il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, ha riacceso la polemica di coloro che credono che il suo governo voglia imporre uno stile di vita religioso e conservatore. “In quegli appartamenti potrebbe succedere qualsiasi cosa. In quanto governo, dobbiamo intervenire”, ha dichiarato Erdogan, che tuttavia non ha mai celato la sua volontà conservatrice: “Vogliamo formare una gioventù religiosa, una generazione che sia conservatrice, democratica e che adotti i principi storici nazionali”, dichiarava nel febbraio 2012.
Un mese dopo, il suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) approvava in parlamento una riforma dell’istruzione permettendo alle scuole religiose di accettare alunni dagli 11 anni in su, oltre a introdurre nuove lezioni facoltative sul Corano in alcune scuole. La riforma fu imposta senza dibattito, causando scontri tra l’AKP ed il principale gruppo laico all’opposizione, il Partito Repubblicano Popolare.
Nel maggio 2012, Erdogan continuava ad alimentare la polemica, dichiarando: “Considero l’aborto un omicidio. Nessuno ne dovrebbe avere il diritto”. Inoltre, Erdogan ha più volte ribadito che ogni donna dovrebbe avere almeno tre figli, raccomandando questa pratica anche al primo ministro finlandese in visita nel dicembre 2012, giustificando il consiglio con ragioni economiche e demografiche.
In seguito, nel maggio 2013, il parlamento approvava una legge molto restrittiva circa la promozione, la vendita e il consumo di alcol. Un mese prima, Erdogan aveva provocato la rabbia di molti cittadini dichiarando l’ayran, uno yogurt liquido e salato, come bevanda nazionale; per la maggior parte della società, la bevanda turca è il raki, il liquore all’anice amato da Atatürk. Infine, solo poche settimane fa, Erdogan ha presentato il cosiddetto “pacchetto democratico” con riforme che comprendono il sollevamento del divieto di recarsi al lavoro con il velo per le funzionarie, fatta eccezione per poliziotte, militari e giudici.
Anche le ultime decisioni del Dipartimento di Affari Religiosi (Diyanet in turco), che oggi conta quasi il doppio degli impiegati rispetto al 2002, anno della salita al potere di Erdogan, stanno sollevando alcune polemiche. Questo mese, è stata emessa una fatwa che vieta i tatuaggi e che considera gli orecchini “quasi illegali” per gli uomini.
La parte più liberale e progressista del Paese si rende conto che l’AKP si sta intromettendo nella vita dei cittadini e che Erdogan vuole imporre la sua particolare visione conservatrice e religiosa a tutta la Turchia. Questo sentimento ha costituito una delle basi per le molte proteste mosse contro il governo “autoritario” nei mesi di giugno e luglio scorsi.
“Sono dieci anni che il primo ministro vuole imporci la sua volontà e non chiede mai a chi non la pensa come lui”, commenta Cihan, 30 anni, editor di un sito web. “Non sto né con Erdogan né contro di lui. Voglio solo che ci sia pace tra chi la pensa come lui e chi gli si oppone, anche se ora come ora questa pace sembra impossibile”.
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