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Elezioni in Iraq: 3000 morti e un’economia in crisi

Le Monde (30/04/2014). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.

20 milioni di elettori iracheni si sono recati alle urne mercoledì 30 aprile per eleggere il primo parlamento dal ritiro delle truppe americane del 21 dicembre 2011. In assenza di una reale figura di opposizione, l’attuale primo ministro Nuri al-Maliki, candidato a un terzo mandato, è dato come favorito malgrado un bilancio mitigato su sfondo di violenze e di vive tensioni confessionali.

Dall’inizio dell’anno, 3000 persone sono morte in Iraq, di cui 80 nei soli giorni 28 e 29 aprile. Questo bilancio illustra la spirale di violenza nella quale è affondato il Paese, alimentata dal conflitto nella vicina Siria e dallo scontento della minoranza irachena sunnita che stima di essere discriminata dalle forze di sicurezza e dalle autorità dominate dagli sciiti.

Nella primavera 2013, l’intifada dei sunniti della provincia occidentale di Anbar, alla quale il potere ha reagito molto brutalmente, è sfociata sulla presa di Falluja dai jihadisti dell’ISIS nel gennaio scorso.

Le violenze in Iraq erano diminuite dal 2008 con la fine del terribile conflitto confessionale tra sunniti e sciiti, ma sono aumentate nel 2013 mietendo più di 6800 vittime. L’avvicinarsi delle elezioni legislative non ha affatto aiutato ad acquietare la situazione: ogni partito ha pronto un discorso comunitario per farsi eleggere.

Per ora, nessun partito sembra in grado di portare a casa la maggioranza dei 328 seggi in gioco, ma il gruppo parlamentare del primo ministro dovrebbe restare in testa. Malgrado il bilancio mediocre del capo di governo, caratterizzato da uno sviluppo economico nullo, una corruzione endemica e un aggravamento delle violenze confessionali, l’immagine dell’uomo forte di cui gioisce il capo di governo e l’assenza di opposizione strutturata giocano in suo favore.

Secondo una regola non scritta, ma ammessa de facto, dai partiti politici le tre più alte cariche dello Stato sono condivise tra i curdi che detengono la presidenza, gli sciiti che devono nominare il primo ministro e i sunniti che scelgono il presidente del parlamento. Dopo le elezioni del 30 aprile, i deputati dovranno eleggere il presidente della Repubblica. Talabani, attuale presidente (curdo) non può essere rieletto dal momento che la Costituzione limita a due il numero di mandati presidenziali. I sunniti reclamano ormai la presidenza.

L’Iraq sta vivendo una precarietà economica di cui non vede la fine. Il Paese possiede la terza riserva di petrolio al mondo, ma la sua produzione supera di poco i 3 milioni di barili al giorno (3,5 milioni a febbraio). Anche se la produzione petrolifera progredisce sensibilmente, gli iracheni non vedono nessun effetto positivo sull’impiego. Il tasso di disoccupazione è stagnante intorno ai 15% dal 2008.

Per non parlare, poi, dei numerosi ostacoli tecnici allo sviluppo dell’economia irachena, primo tra tutti le violenze quotidiane e la corruzione rampante: nel rapporto stilato da Transparency International, l’Iraq è al decimo posto tra i paesi più corrotti.

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