Egitto: “terrorismo” eletto democraticamente?

egitto bandiera egiziana

Di Wa’el Qandil. Al-Arabi al-Jadeed (22/05/2017). Traduzione e sintesi di Federico Seibusi.

Il regime di Adb al-Fattah al-Sisi sa come cogliere le occasioni per sfruttarle a suo vantaggio. Perciò, non si è fatto scappare l’occasione di incontrare i sostenitori del suo colpo di Stato, per poterne beneficiare alla luce della sentenza della Corte di Cassazione in cui il presidente Morsi e i suoi collaboratori vengono definiti “entità terroristiche”. Con questa sentenza emessa dalla magistratura, Sisi è sicuro di poter cancellare dalla storia ciò che resta della rivoluzione egiziana.

Prima del viaggio di Sisi, sullo sfondo giudiziario per assicurarsi il potere, l’attenzione si è rivolta al posticipo della questione principale riguardante l’accusa di spionaggio in favore del Qatar al presidente Morsi, mentre la Cassazione proclamava “entità terroristiche” 25 parlamentari e politici, specialmente alla luce del summit di Riyad intitolato “Cooperazione sotto l’egida degli USA per la lotta al terrorismo”.

Inoltre, durante i giorni scorsi, l’attenzione si è rivolta all’indebolimento della legittimità del presidente Morsi, inizialmente considerando il suo arrivo al potere come il risultato di un errore politico e di diritto, passando poi per l’attribuzione di una cospirazione israeliana alla rivoluzione egiziana e a tutta la primavera araba. Tuttavia, non sono cessate le voci e le indignazioni scaturite dalla giungla dell’opposizione emergente, le quali sostengono che, con la fine del periodo di quattro anni dall’elezione di Morsi, sia cessata anche la legittimità di questa autorità.

La realtà sul terreno non cancella la legittimità del diritto e non dona legittimità, valore politico e morale all’attuale autorità. D’altronde, essa non è riuscita a demolire la legittimità di coloro che hanno ottenuto valore democratico e di diritto, a meno che il popolo della rivoluzione decida di suicidarsi, denunciando la sua innocenza e scusandosi per essa, paragonando la rivoluzione a un peccato da espiare.

In queste circostanze, la realtà mostra indubbiamente che il ritorno della legittimità della rivoluzione è una questione quasi impossibile, malgrado questa non sia una giustificazione razionale, poiché si è costretti a dar fuoco all’essenza etica della questione egiziana e a soccombere alla brutalità della realtà.

Nonostante ciò, gli individui bruciati dall’inferno dell’oppressione, dalla violenza e dal terrorismo all’interno delle prigioni e dei centri di detenzione si rifiutano di abbandonare l’essenza morale della questione e di accettare la resa e il pentimento della rivoluzione. Dunque, al di fuori delle carceri, i compagni e gli alleati non possono inquinare il presente e il futuro con la negligenza dei valori e con lo scambio dei principi e dei significati.

In conclusione, qualsiasi tentativo di separare la rivoluzione di gennaio e la legittimità di Morsi significa abbandonare immediatamente entrambe, donando legittimità al regime attuale. Il regime stesso sa di non meritare questa legittimità e non può far altro che ottenerla, imponendo lo status quo con la forza al pari di una forza d’occupazione, senza che vi sia una qualsiasi base di diritto e di etica.

Wa’el Qandil è un giornalista e scrittore egiziano, caporedattore del giornale panarabo Al-Arabi al-Jadeed.

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