Letteratura Politica Zoom

Egitto: conferenza dei letterati egiziani dedicata all’isolamento post-rivoluzione degli intellettuali

di Yasir Mihni – Dar al-Hayat (05/01/2012) – Traduzione di Claudia Avolio

“La caduta del discorso tirannico”: così è stato intitolato il ciclo di incontri dagli uomini di cultura egiziani. “Siamo stati fin troppo ottimisti e abbiamo dato questo titolo alla conferenza, proprio mentre a pochi passi da questa stanza la tirannia affila le sue armi”. Con queste parole il Segretario generale del convegno dei letterati egiziani, il poeta Faris Khadr, ha salutato l’inizio del ciclo di conferenze che si è svolto nella Sala piccola della Casa dell’Opera, al Cairo. Questo breve discorso d’apertura fa ben sperare per i prossimi incontri del convegno che si svolge ogni anno, e nutre le aspirazioni dei letterati egiziani vòlte a un più ampio respiro per la democrazia e a meno spazio per la tirannia. Tale atteggiamento si trova in linea col pensiero del poeta egiziano Amal Dunqul, cui quest’edizione del convegno è stata dedicata.

Gaber ‘Usfur, un modello

Tra le considerazioni sul discorso della tirannia, all’interno del framework “La cultura e la rivoluzione”, ed in particolare nell’asse portante del tema dal titolo “L’intellettuale e la rivoluzione”, si è inserita la ricerca di Ayman Ta’iab dal titolo “La rivoluzione e lo smantellamento del pensiero culturale arabo”. Tale ricerca ha fatto emergere il quadro desolante dell’intellettuale arabo e ha svelato il legame che c’è tra un intellettuale chiuso in un sistema di pensiero fondamentalista e un politico aggrappato con unghie e denti al potere assoluto. Secondo Ta’iab gli intellettuali sono stati “l’ultima ruota del carro nel sostenere la rivoluzione ed in prima fila nell’accusarla di tradimento”. Se non fosse stato per gli edifici culturali e i progetti improntati su idee arabe illuministe, costruiti dagli intellettuali arabi e purtroppo da essi anche chiusi all’orizzonte della Storia e della realtà, le élite militari non avrebbero avuto un tale successo nel loro progetto di repressione. Citando Gaber ‘Usfur, Ta’iab ha detto che ciò che resta dell’intellettuale arabo si è sempre mosso nei meandri della propria realtà su binari segnati da dicotomie: retaggio e modernità; Oriente e Occidente; Stato e religione; Stato confessionale e Stato profano. Sorprendentemente, Ta’iab non ha convenuto con questa autoflagellazione, ed ha aggiunto: “Ho assistito in prima persona a tutto ciò da almeno 40 anni, vissuti tra l’eterodossia di cultura, agenti di cambio e politica egiziane, restando un vero esiliato all’interno del mio stesso Paese!”.

Poi è stata presentata la ricerca di Tahashi ‘Asim al-Dusuqi, dal titolo “La cultura e la resistenza alla tirannia”. Sembra aver confermato come la paura per la libertà di pensiero e d’espressione sia insita al potere che, qualunque sia la sua natura, cercherà di controllare i pensieri e di migliorare i mezzi per tutelare sé stesso. I veri intellettuali, tuttavia, non hanno mai gettato la spugna e non sono mai tornati sui propri passi continuando a percorrere quella che per loro era la sola via verso la salvezza e la libertà.

Ad introdurre una voce fuori dal coro, ci ha invece pensato Muhammad Hassan Abdalhafid, che ha parlato di una “cultura civica e della sua autorevolezza popolare”. L’ha collegata ai tentativi di portare alla luce gruppi ai margini della società da parte dei narratori popolari, detentori di una conoscenza che le élite non possono conoscere. In genere si parla di cultura degli emarginati come un discorso in qualche modo in antitesi alla cosiddetta cultura ufficiale, anche se poi possiede gli stessi strumenti utilizzati da quest’ultima. Con un focus sulle istituzioni culturali che ha intitolato “Critica alla realtà della corruzione amministrativa ed alla tirannia delle istituzioni culturali”, il romanziere Qasim Mas’ad ‘Aliwa ha esposto i dati sulla corruzione di tali enti, ciò che la causa e cosa ne consegue. In particolare ha proposto l’abolizione del ministero della Cultura, in quanto “non produce servizi culturali, ma solo un tipo di supervisione e guida che serve a collegare le istituzioni culturali al regime sotto cui si trovano ad operare”. Tale proposta d’abolizione del ministero non voleva però sottointendere alcuna cessazione delle attività culturali ad esso legate, che potrebbero secondo l’autore della ricerca svolgersi altrettanto bene.

La rivoluzione e i media

Sul frame legato al rapporto tra rivoluzione e mass media, lo studioso Ahmed Siraj si è distinto con un intervento basato sulla sua ricerca dal titolo “Autorità e network d’informazione di massa”. Il potere vede questi network, in cui rientra anche internet, come una mera realtà virtuale e di distrazione, mentre per i giovani della rivoluzione sono uno strumento per esprimere la vera realtà che si trovano a vivere ogni giorno. Infine si è passati ad analizzare la ricerca di ‘Umar ‘Ali Hassan, dal titolo “La cultura tra il principio e i richiami del potere”. Tra gli intellettuali, Hassan distingue quelli la cui produzione letteraria non è per forza atta a contrastare il potere, alcuni dei quali potranno venire a patti con l’autorità o anche solo temerla. Ma per l’autore della ricerca la letteratura di solito offre meglio di molti altri strumenti un modo per muovere una critica allo stato attuale delle cose, lasciando dietro di sé una prova tangibile di chi ha perpretato quelle date oppressioni. Per questa ragione resta uno strumento importantissimo nelle mani degli intellettuali per contrastare l’autorità.

Prima della conclusione del convegno, si è toccato l’argomento dei cosiddetti “intellettuali da stalla” e la distinzione tra “veri rivoluzionari” e semplici “baltagiya” (teppisti). Questo tema era stato anticipato all’inizio della conferenza dal presidente del gruppo, il romanziere Fouad Hijazi, che ha descritto il trend politico degli ultimi tempi come qualcosa che va “all’indietro”.