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Egitto: condannata a morte la democrazia

Morsi egitto

Di Talha Abdulrazaq. Middle East Eye (16/05/2015). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo

Dopo le critiche di Amnesty International e della Turchia, il Dipartimento di Stato USA ha espresso preoccupazione per la sentenza del tribunale penale del Cairo che sabato ha condannato a morte l’ex presidente egiziano Mohamed Morsi e altri 106 esponenti dei Fratelli Musulmani. Una decisione che non ha destato alcuna sorpresa, ma che ha attirato sull’attuale presidente egiziano Abdel Fattah El Sisi diversi pareri contrari, nonché accuse rinnovate di colpo di Stato e di comportamento da faraone. Morsi infatti era arrivato al potere dopo elezioni regolari e riconosciute dalla comunità internazionale, quindi la sua deposizione nel 2013 aveva suscitato molta indignazione, non solo tra i suoi sostenitori. In molti considerano ora la sua condanna come la morte della democrazia in Egitto e in Medio Oriente.

Le elezioni che nel 2012 avevano consacrato Morsi presidente dell’Egitto erano state oggetto di discussione, nonostante la convalida ufficiale. A lui infatti era stato affidato il compito di portare a termine gli obiettivi della rivoluzione popolare che nel 2011 aveva rovesciato il regime di Hosni Mubarak. A poche settimane dalla sua elezione tuttavia migliaia di egiziani avevano iniziato a scendere in piazza, per molti istigati dalla longa manus dell’altro candidato ed ex funzionario militare dell’era Mubarak Ahmed Shafik, fuggito subito dopo la sua sconfitta negli Emirati Arabi Uniti. Un paese che ha sempre sostenuto le forze politiche contrarie alla Fratellanza ed è stato accusato da quest’ultima di agire in difesa dei regimi delle monarchie del Golfo contro l’unico movimento dell’islam politico non violento in grado di minacciarne la stabilità.

Diversi osservatori accusano dunque le monarchie del Golfo di aver investito miliardi di dollari in Egitto solo dopo l’arrivo di El Sisi, invece di sostenere il piano di riforme economiche di Morsi per risollevare il paese dalla povertà. Cosa resta dunque oggi in Egitto della democrazia di cui tanto si parla in Occidente? E che dire dell’incapacità della comunità internazionale di definire quello di El Sisi un colpo di stato? Ovviamente non è la prima volta che in Medio Oriente la democrazia viene stroncata dalla realpolitik occidentale. La stessa diffidenza internazionale nei confronti di Morsi aveva colpito infatti anche il movimento palestinese Hamas (anch’esso legato all’islam politico), quando nel 2006 aveva vinto le elezioni nella Striscia di Gaza sconfiggendo l’avversario laico Fatah. Allora Stati Uniti e Israele erano arrivati a tentare di prendere accordi con Fatah per porre fine al governo di Hamas, che finora è riuscito a proteggere il suo risultato solo perché (a differenza dei Fratelli Musulmani egiziani) sa che la democrazia in Medio Oriente funziona solo se si pone al servizio delle strategie geopolitiche occidentali.

Il verdetto definitivo su Morsi e gli altri 106 esponenti dei Fratelli Musulmani arriverà il 2 giugno. Tuttavia con la sentenza di sabato il Cairo sembra aver raggiunto livelli di psicosi politica mai visti, neppure durante il decennale governo di Mubarak. Il rischio è che tutto questo si traduca in un’esortazione al mondo arabo a non tentare mai di liberarsi dalla proprie catene, a non combattere per la democrazia e per la libertà di esprimere nel voto la propria volontà politica. Per non parlare poi del fatto che i movimenti islamici più radicali e violenti potrebbero cogliere l’occasione per corroborare la loro idea sull’incapacità di azione dell’islam politico non-violento. Dunque se l’ipocrisia occidentale, che tesse le lodi della libertà sostenendo al contempo regimi autoritari, non cesserà presto, la democrazia egiziana potrebbe finire sul patibolo insieme a Morsi.

Tallha Abdulrazaq è ricercatore presso l’Istituto di Strategia e Sicurezza dell’Università di Exeter e vincitore dell’Al-Jazeera Young Researcher Award.

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Carlotta Caldonazzo

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  • Il signor Mohammed Morsi ha portato povertà e caos in un paese che basa l’80% delle sue entrate con il turismo. la democrazia tanto decantata di Morsi si è rivelata fallimentare e ha portato il paese in una crisi senza precedenti. Il popolo (30 milioni di egiziani) hanno chiesto le dimissioni di Morsi, non è anche questa democrazia? Il popolo egiziano dirante l’era di Morsi è stato portato al lastrico, la gente non poteva più acquistare il pane o la benzina. I fratelli Musulmani sono considerati un organizzazione terroristica, tanto che proprio loro hanno rivendicato diverse azioni violente contro lo Stato e in passato contro il turismo. Vogliamo continuare a riconoscere questa organizzazione come un gruppo di benefattori che vuole il bene dell’Egitto? O magari i soldi e gli investimenti miliardari dell’organizzazione hanno un influenza sull’opinione pubblica e sui media? Se il governo El-Sisi ha preso il potere con un colpo di stato(come sostengono i media) per quale motivo nessun paese non lo ha riconosciuto o non ha ritirato le proprie ambasciate?