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Egitto, Arabia Saudita e le isole di Tiran e Sanafir

Isole Tiran e Sanafir

Di Tallha Abdulrazaq. Middle East Eye (12/04/2016). Traduzione e sintesi di Chiara Cartia.

L’accordo raggiunto tra il re saudita Salman e il presidente egiziano Abdel Fattah El Sisi dopo la visita del monarca al Cairo ha suscitato molto malcontento. Il re ha fatto valere anni di finanziamenti sauditi allo Stato e all’economia egiziana, oltre che di sussidi energetici, per chiedere indietro le isole di Tiran e Sanafir e per suggellare l’accordo per la costruzione di un ponte tra i due paesi.

Vari gruppi di opposizione egiziani, inclusi i Fratelli Musulmani, biasimano El Sisi per aver ceduto in modo non costituzionale un territorio egiziano per un “pugno di dollari”. El Sisi sta agendo senza dubbio nel suo interesse e per sopravvivere, mentre il suo paese sprofonda nel caos ed è strangolato dalle ristrettezze economiche, ma storicamente le isole sono saudite e il re Salman non ha fatto altro che riprenderne il controllo diretto.

La domanda è: cosa guadagnano i sauditi reclamando le isole ora? Per rispondere bisogna analizzare il motivo della cessione delle isole all’Egitto nel 1950 da parte dell’Arabia Saudita. Era stato un modo per distaccarsi dalla responsabilità diretta per la causa palestinese. Probabilmente secondo la logica diplomatica saudita, nessuno avrebbe potuto criticarla per la sua mancanza di azione contro l’entità sionista, dato che possedeva due isole che controllavano l’unico accesso di Israele al Mar Rosso. L’Arabia Saudita poteva così distanziarsi dal conflitto arabo-palestinese e scaricare la responsabilità della perdita delle isole sull’Egitto, cosa che ha fatto nel 1967.

Oggi la situazione è diversa. L’Arabia Saudita affronta una minaccia più grande. Le ragioni per reclamare le isole si nascondono tra Washington e le retrovie del potere in Iran. Gli Stati Uniti hanno infatti dimostrato a Riyad di non essere più interessati a proteggere i suoi interessi rispetto alle problematiche di stabilità regionale. Così, dato che l’Iran possiede le isole di Lesser Tunb, Greater Tunb e Abu Musa e minaccia continuamente la chiusura dello Stretto di Hormuz, le isole di Tiran e Sanafir sono una chiave per proiettare il potere sul tratto superiore del Mar Rosso.

L’Arabia Saudita ha riaperto gli oleodotti costruiti dall’Iraq che danno sul Mar Rosso per mitigare la minaccia del controllo dell’Iran su Hormuz, dove passa 1/5 dell’energia mondiale. Sta anche facendo del suo meglio per evitare che i clienti dell’Iran, come gli Houti, controllino lo Yemen e minaccino l’accesso al Golfo di Aden. La mossa dell’Arabia Saudita è quindi da interpretare come una politica di diversificazione delle sue esportazioni. Infine, sarà costruito un passaggio rialzato che passerà sopra alle isole e collegherà il Sinai con la penisola araba, creando un ponte tra Africa e Asia.

Riyad non sta solo cercando di aumentare i suoi legami economici con gli egiziani, un milione dei quali già vive e lavora in Arabia Saudita, ma vede questo ponte come un modo per collegare il Maghreb con il Mashreq. Questo non solo faciliterà il passaggio dei pellegrini durante il hajj, ma accrescerà gli scambi commerciali che porteranno a una maggiore cooperazione.

Inoltre ora i Sauditi sono in una posizione che permette loro di fare pressione sull’Egitto perché li appoggi nelle sue iniziative militari, come in Yemen. Chissà se l’Arabia Saudita dovrà pagare un prezzo alto per comprare la cooperazione di El Sisi.

Tallha Abdulrazaq è un ricercatore presso lo Strategy & Security Institute dell’Università di Exeter e vincitore dell’Al-Jazeera Young Researcher Award.

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