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Economia in tempo di instabilità

Borsa egizianaDi Ali Ibrahim. Asharq Alawsat (22/01/2013). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi

Cosa viene prima, economia o politica? È come la storia dell’uovo e la gallina: da un lato non può esserci sviluppo economico senza stabilità politica; dall’altro una vivace economia, in grado di rispondere alle esigenze della società e delle giovani generazioni in particolare, è il fattore alla base di una situazione di stabilità politica. È questa la sfida che i paesi arabi si trovano ad affrontare nel 2013, in un momento di grandi cambiamenti.

Secondo le Nazioni Unite, in Siria la guerra ha ridotto di un terzo l’economia del paese. In misura minore lo stesso vale per quegli stati che hanno già completato il processo di transizione, come Egitto, Tunisia, Libia e Yemen. I dati relativi a questi paesi indicano economie in calo, abbassamento dei livelli di sviluppo, aumento del tasso di disoccupazione e un declino, se non un blocco totale, degli investimenti diretti.

Eppure solo un anno prima o due dello scoppio delle rivoluzioni si parlava delle economie di questi paesi in modo positivo. L’aumento del prezzo del greggio aveva determinato in tutta la regione una sorta di boom dei proventi del petrolio, con benefici anche per i paesi non produttori. Si registrava anche un miglioramento del deficit di bilancio in rapporto al PIL e un aumento delle attività finanziarie, come nel caso della Borsa egiziana. Tutto ciò andava di pari passo con un certo ampliamento della classe media.

Tuttavia, alcuni difetti strutturali hanno impedito un concreto miglioramento del livello di vita e la riduzione dei divari sociali. Piuttosto tra i vari strati della popolazione si è insinuato un senso di ingiustizia e insoddisfazione alla base delle rivolte di due anni fa. Queste stesse carenze hanno inoltre ostacolato uno sviluppo sostenibile in tutta la regione araba.

Una delle principali strategie di ripresa consisterebbe nella promozione del settore privato così da creare nuove opportunità di lavoro e guidare il processo di sviluppo. Questo unito alla creazione di un quadro legislativo trasparente che garantisca una competizione equa sul mercato. C’è poi la questione dei sussidi pubblici al carburante e ad altri beni, che assorbono risorse, rendono i prezzi irreali e creano delle distorsioni nella struttura dell’economia. Al tempo stesso le politiche educative risultano inadeguate alle esigenze di sviluppo, portando la disoccupazione dei laureati ai livelli più alti rispetto agli altri gruppi sociali.

La questione non può certo essere risolta in un anno o due, ma quello che occorre è innanzitutto un piano realistico che affronti i problemi strutturali delle economie arabe. La chiave sta nel favorire il flusso di capitali e il commercio intra-regionale, ma soprattutto nel trasformare lo slogan dello sviluppo sostenibile in una politica concreta.

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