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Donne palestinesi: tra patriarcato e sionismo

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Di Ebru Buyukgul. Your Middle East (21/04/2015). Traduzione e sintesi di Viviana Schiavo.

Due anni fa, di questi tempi, Mona Mahajna, una donna di 30 anni e madre di tre bambini, è stata trovata uccisa nel suo appartamento di Umm al-Fahm. Dopo il suo divorzio e la conseguente separazione dai suoi figli, ha preso la coraggiosa decisione di iniziare una nuova vita. Sfortunatamente, in una società patriarcale in cui le donne divorziate sono spesso ridicolizzate, Mona ha pagato il prezzo della libertà con la sua vita.

Mona non è l’unica vittima della violenza domestica nei Territori Palestinesi Occupati, ma purtroppo è l’unica di cui si sia sentito parlare nei media. Secondo il gruppo palestinese “Donne contro la Violenza”, dal 1991, 162 donne palestinesi sono state uccise da un membro della famiglia nella sola zona della Linea Verde. Uno studio del 2012 dell’Ufficio Centrale di Statistica palestinese sottolinea che il 37% delle donne sposate nei territori occupati hanno subito una qualche forma di violenza domestica da parte dei loro mariti. Il futuro sembra essere terribile per le donne palestinesi che si trovano ad essere vittime, allo stesso tempo, del sionismo e del patriarcato.

Come possiamo comprendere meglio la violenza contro le donne in Medio Oriente e in particolare in Palestina? Per quanto riguarda le donne palestinesi ci sono due paradigmi prevalenti. Il primo punta il dito contro la cultura e la società misogina in cui “l’onore” della famiglia è ampiamente giudicato sulla base delle azioni delle donne. Il secondo incolpa la perdita di mascolinità tra gli uomini palestinesi come risultato del colonialismo sionista e dell’oppressione. Secondo questa teoria, l’occupazione e le conseguenti difficoltà economiche hanno portato l’uomo palestinese a perdere la sua principale abilità, quella di provvedere e proteggere. È la donna che diventa la vittima in queste crisi di perdita di mascolinità.

Anche se comunemente usati, questi paradigmi sono imperfetti e troppo semplicisti. Entrambi tentano, infatti, di spiegare la violenza di genere in termini di violenza in generale, ignorando il fatto che le donne vengono uccise per il semplice fatto di essere donne e da persone che fanno parte della loro famiglia.

I movimenti femministi arabi hanno fallito per quanto riguarda i diritti delle donne in Palestina. Le ragioni di questo fallimento sono varie, ma prima fra tutte c’è il fatto che per promuovere i diritti delle donne attraverso la legislazione si sono alleati con i regimi arabi autocratici. In questo modo hanno optato per una lotta femminista elitaria e borghese quando in realtà la maggior parte delle donne arabe non appartengono a questa classe e ne sono quindi escluse. Inoltre, il vero cambiamento sociale può essere raggiunto solo con la libertà politica e non attraverso un regime capitalista e dittatoriale. Il sionismo e lo Stato di Israele, come tutti i regimi autocratici e misogini, giocano un ruolo attivo nell’emarginazione e subordinazione delle donne e collaborare con loro non è la soluzione. Anche aspettarsi che la polizia o l’esercito proteggano le donne contro la violenza è qualcosa di quasi folle. In questo caso, è persino più ridicolo aspettarsi che la polizia israeliana dia alle donne la protezione necessaria contro la violenza domestica. Oltre ad essere quella che vieta loro la libertà politica e persino il diritto ad esistere, la polizia israeliana è rinomata per aver mandato via donne palestinesi che sono state sufficientemente coraggiose da riferire gli abusi, con la scusa che le violenze domestiche fanno parte della cultura araba.

Qual è quindi la soluzione? Prima di tutto fino a quando la società non riconoscerà che le donne sono strutturalmente oppresse, invece di far coincidere la violenza di genere con la violenza in generale, le donne continueranno a subire questa violenza. In secondo luogo, dobbiamo sradicare il lessico egemonico usato per descrivere gli atti di violenza contro le donne, come “delitto d’onore”. Infine, il passo più importante è che siano le donne ad organizzarsi. È solo quando le donne aspireranno ad essere libere e saranno attivamente coinvolte nel raggiungimento di questa libertà che saranno davvero emancipate.

Ebru Buyukgul lavora per l’Istituto Internazionale per l’Ambiente e lo Sviluppo. È anche una scrittrice e blogger freelance esperta di questioni di genere e politiche del Medio Oriente.

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