Di Laurent de Saint Périer. Jeune Afrique (04/04/2014). Traduzione e sintesi di Mariacarmela Minniti.
Il Golia saudita otterrà la sua vendetta sullo sfrontato Davide qatarino? In uno scatto di collera senza precedenti, il regno wahabbita e i suoi alleati, Bahrein e Emirati Arabi, il 5 marzo hanno richiamato i loro ambasciatori a Doha, provocando una grave crisi in seno al Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG), che dal 1981 riunisce le sei petrolmonarchie della penisola.
Motivo: il Qatar avrebbe violato il patto segreto che il suo emiro Tamim avrebbe firmato il 23 novembre 2013 a Riyad davanti ai sovrani del Kuwait e dell’Arabia Saudita. Il piccolo ma influente emirato si sarebbe impegnato a non interferire negli affari degli Stati membri del CCG e a non sostenere alcun movimento che possa minacciare la loro sicurezza e stabilità. Il Qatar ha risposto che le rappresaglie di questi “Paesi fratelli” vanno “contro gli interessi, la sicurezza e la stabilità dei popoli del Golfo e sono legate a controversie al di fuori del CCG”. Doha ha poi aggiunto che la sua indipendenza non è negoziabile e non intende assolutamente riorientare la sua politica estera.
Principale bersaglio del patto di novembre sono i Fratelli musulmani, odiati e proibiti a Riyad e Abu Dhabi, ma da decenni accolti a Doha, dove hanno stabilito il loro quartier generale e dispongono di un portavoce efficace: l’emittente panaraba Al-Jazeera. Fonti diplomatiche aggiungono che Riyad rimprovera inoltre ai qatarini di sostenere i ribelli sciiti houthi nel Nord dello Yemen e il gruppo jihadista siriano, il Fronte al-Nusra armato da Al-Qaeda. La decisione del ministro dell’Interno saudita, il 7 marzo, di classificare come organizzazioni terroristiche i Fratelli musulmani, il Fronte al-Nusra e il movimento houthi ha confermato queste affermazioni.
Si pensava che la gerontocrazia saudita fosse stordita dai colpi di avvertimento delle rivoluzioni e invece la sua controffensiva è stata potente. Dopo aver appoggiato il colpo di stato in Egitto del 3 luglio 2013 diretto dal generale El Sisi contro il presidente Morsi (membro della Fratellanza), in Siria il regno wahhabita è giunto a soppiantare il piccolo emirato come sponsor dell’insurrezione. Quest’ultima crisi diplomatica potrebbe dare il colpo di grazia alle ambizioni troppo grandi del Qatar e riportare il piantagrane sotto la primazia saudita.
Per Stéphane Lacroix, specialista di politica in Medio Oriente, “i sauditi hanno capito che i campi pro-rivoluzione e pro-Fratellanza erano deboli e potevano approfittare di questa occasione per prendere la leadership araba e assicurare i loro interessi nei confronti di Teheran, proprio mentre gli americani si avvicinano agli iraniani a loro detrimento”. Poiché la repubblica islamica resta un elemento cruciale dell’equazione diplomatica che si sta scrivendo nel Golfo, la visita a fine febbraio del ministro qatarino degli Esteri a Teheran e la sua proposta di coinvolgere questa capitale nella ricerca di una soluzione politica in Siria, potrebbe aver innescato lo scatto di collera saudita.
I grandi dell’Arabia riusciranno a chiudere definitivamente il becco del piccolo e disobbediente Qatar?
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