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Diplomazia: il Sahara visto dall’America

Di Fahd Iraqi. Tel Quel (30/04/14). Traduzione e sintesi di Alessandra Cimarosti.

Washington D.C.: benvenuti nella capitale degli Stati Uniti, simbolo della supremazia dell’America e dell’influenza della sua politica estera sul mondo. Akram Elias, esperto in diplomazia che lavora da 25 anni come consulente per il dipartimento di Stato però, dichiara che solo l’1-2% degli americani si interessa davvero di politica estera. E sono essenzialmente le multinazionali, le ONG e i think tank che influenzano gli affari internazionali. “La politica estera non è un argomento del grande pubblico se non quando si mescola con la materia della difesa”.

Quindi il Marocco e la questione del Sahara non interessano l’americano medio, né tanto meno sono motivo di insonnia per chi è al potere. Per suscitare l’interesse dell’opinione pubblica, bisogna evocare un tema più legato a questioni di sicurezza: il Sahel. La regione è considerata una zona a grande rischio terroristico. Ma non solo. In questi ultimi anni, molti think tank influenti di Washington scrutano da vicino il grande deserto del Sahara. “È difficile controllate questa regione del mondo, perché tutte le frontiere in Africa sono permeabili e i governi sono troppo deboli per poterlo fare”, afferma Arnaud de Borchgrave, direttore del Center for Strategic and International Studies (CSIS). “È un conflitto tra il Marocco e l’Algeria sul quale un giorno o l’altro gli Stati Uniti dovranno dare un’opinione”. Continua: “È esagerato dire che il Sahel è un nuovo Afghanistan, come vogliono presentarlo alcuni dei nostri colleghi”.

Questa tesi sul Sahel come nuovo Afghanistan è sostenuta anche da altri centri di ricerca. Peter Pham, direttore dell’Atlantic Council, riferendosi alla visita reale negli Stati Uniti dello scorso novembre, ha dichiarato: “La visita di Muhammed VI è stata determinante. Ha permesso di dissipare le incomprensioni con la nuova amministrazione che, dopo Hillary Clinton, non aveva preso sul serio la questione del Sahara”.

L’Atlantic Council è uno dei centri che più  ha lavorato sul Sahara. Le sue conclusioni sposano spesso le tesi marocchine. Secondo Peter Pham, il Marocco “è un alleato strategico per gli Stati Uniti” e ha mostrato una buona volontà nel volere “uscire dalla situazione di stallo in cui si trova”. E gli argomenti non mancano: cooperazione esemplare nella lotta contro il terrorismo, modello di islam tollerante antidoto dell’estremismo religioso, stabilità politica incarnata dalla monarchia che ha saputo gestire la Primavera Araba, apertura economica sui mercati africani, messa in opera di esperienze come la “Instance équité et réconciliation”, che testimoniano un’evoluzione in materia di diritti umani, approccio di sviluppo specifico per le regioni del Sahara.

Ma Rabat non ha solamente amici. L’influente Centro Kennedy per la giustizia e i diritti dell’uomo è il centro che si dimostra più virulento. Da molti anni, pubblica rapporti che danno un’immagine disastrosa della situazione dei diritti umani nelle province del Sud e conduce iniziative per la protezione di tali diritti.

Tuttavia, con la scomparsa di Ted Kennedy, Donald Payne, ma anche il ritiro di Frank Wolf, tutti ostili al Marocco, sono tornati in auge gli amici di Rabat. Infatti, i due Paesi si sono riavvicinati e per la prima volta è stato permesso l’uso degli aiuti dello Zio Sam nelle province del Sud. Una sorta di riconoscimento ufficiale della sovranità del Marocco su questa regione. Tale impresa è stata possibile grazie alle manovre delle lobby pro-marocchine. Tutto a Washington è questione di lobby e quella pro-marocchina approfitta della sinergia dei gruppi di pressione in favore di Israele.

Un anno fa è stata approvata una risoluzione per il prolungamento del mandato della MINURSO, la missione militare dell’ONU impiegata nella regione dal cessate il fuoco del 1991. Adesso, all’interno della rappresentanza americana presso l’ONU, i responsabili sono cambiati. Susan Rice ha ceduto il suo posto a Samantha Power. Due persone del nuovo staff, sotto anonimato, hanno dichiarato che “il segretario John Kerry e il presidente Obama reputano una proposta seria, credibile e realista il piano d’autonomia presentato dal Marocco”. Hanno poi aggiunto: “Noi continuiamo a fare tutto il possibile per venire a patti con le differenti parti, che siano Marocco, Polisario o Algeria. Il tutto sotto la guida delle Nazioni Unite”.

Anna Theofilopoulou, che ha lavorato per molti anni con James Baker (inviato speciale del Segretario generale dell’ONU nel Sahara tra 1997 e 2000) ritiene che le cose non sono cambiate in tutto questo tempo e che Rabat ha commesso, a volte, errori grossolani come quando ha richiesto, senza poterle ottenere, le dimissioni di Christopher Ross (attuale inviato speciale per il Sahara). In questo conflitto, un ruolo catalizzatore è giocato dall’Algeria. Anna Theofilopoulou sostiene che “con il tempo e il cambiamento di regime in Algeria, si spera che il Polisario non rappresenti più lo stesso interesse strategico per Algeri”.

Nel frattempo, il regno marocchino sembra aver guadagnato la simpatia dell’amministrazione americana. Gli USA non rischiano di causare disagi all’ONU quest’anno, mantenendo il loro status quo sulla questione. E ciò sembra soddisfare in gran parte il Marocco.

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