Di Maen Albayari. Alaraby (26/06/2018). Traduzione e sintesi di Stefania Schiavi.
La possibilità di guidare un’auto è stata accolta con grande gioia dalle donne saudite, ma resta comunque un piccolo dettaglio secondario nella lotta per la conquista di diritti ancora più fondamentali: giustizia, uguaglianza e dignità. La verità è che dietro la decisione del sovrano saudita Salman bin Abdulaziz ci sono motivazioni di tipo economico; inoltre la leadership del regno vuole far passare l’iniziativa come un suo dono alle donne saudite, quando invece si tratta di un diritto guadagnato grazie alla lotta di attivisti e intellettuali che si sono battuti perché il loro Paese non fosse l’unico a proibire una cosa tanto naturale come guidare.
La donna saudita ha ancora di fronte a sé un lungo cammino prima di potersi dire libera del tutto dal pensiero patriarcale dominante e dalle convenzioni sociali fortemente conservatrici che ostacolano la sua capacità di dare un maggiore contributo allo sviluppo del suo Paese. Di certo poter guidare è una conquista, ma le donne dell’Arabia Saudita continuano a volere prima di tutto uguaglianza sociale, la fine del terribile fenomeno della violenza domestica, maggiori opportunità di far carriera e la possibilità di partecipare alla sfera pubblica. Ed è ovvio che tutto questo necessita di una riforma politica grazie alla quale i cittadini, uomini e donne, possano scegliere i loro rappresentanti al potere.
Le “riforme” dell’ultimo anno sono il frutto del lavoro dell’erede al trono Mohammad bin Salman: concerti e cinema tra le cose che solo di recente sono state reintrodotte nel Paese. Il giovane principe sembra poi impegnato nella lotta alla corruzione dopo l’arresto di principi, funzionari e ricchi uomini d’affari che hanno dovuto pagare cifre enormi per riottenere la libertà.
Tuttavia, nonostante le forti aperture culturali e sociali, si può dire senza alcun dubbio che i diritti dell’uomo hanno subito quest’anno una battuta d’arresto nel regno saudita. Le “riforme” di cui si è parlato sopra sono andate di pari passo con l’arresto di intellettuali, predicatori e attivisti, spesso in circostanze sconosciute e in assenza delle condizioni minime di giustizia. L’arresto di quegli stessi intellettuali che erano stati in prima fila nel richiedere il diritto alla guida per le donne e il miglioramento delle condizioni in cui il regime saudita le costringe a vivere. È chiaro dunque che le autorità saudite hanno scelto di mettere in atto una politica di rappresaglia. Eman al-Nafjan (39 anni), Loujain Alhathloul (28 anni), Aziza al-Yousef (60 anni) e Noaf Abdelaziz (31 anni), ad esempio, non hanno potuto partecipare ai festeggiamenti insieme alle loro concittadine. Anziché dietro il volante, si trovano infatti dietro le sbarre, insieme a molti altri uomini e donne considerati oppositori.
Maen Albayari è uno scrittore e giornalista giordano.
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