Di Sarah Benhaida. Rappler (09/11/2014). Traduzione e sintesi di Roberta Papaleo.
Per decenni, Yasser Arafat ha incarnato la lotta per l’indipendenza palestinese. A dieci anni dalla sua morte, resta un eroe nazionale per il popolo senza Stato.
Al momento della sua morte, l’11 novembre 2004, era presidente di una moribonda Autorità Palestinese, ente politico ad interim creato nel 1994 che avrebbe dovuto costituire un governo permanente nel 1999. Il suo successore Mahmoud Abbas è riuscito a ottenere lo status di osservatore per la Palestina presso l’ONU, ma i palestinesi sono ancora in attesa di un loro Stato a sessantasei anni dalla proclamazione di Israele.
“Arafat è stato il primo a prendere la dolorosa decisione di riconoscere i confini del 1967, abbandonando il 78% della Palestina storica e aprendo la strada alla coesistenza”, commenta Xavier Abu Eid, portavoce dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) che ha firmato gli accordi di Oslo nel 1993. Tuttavia, quando nel 1999 il periodo provvisorio finì senza un accordo permanente e i negoziati di pace di Camp David fallirono l’anno successivo, le cose andarono di male in peggio con lo scoppio della seconda intifada (2000-2005).
Mentre la situazione peggiorava, Israele dipingeva lo stesso Arafat come il principale ostacolo alla pace, annunciando una nuova era al momento della sua morte. “Nel 2004, Israele dichiarò che il principale ostacolo alla pace era andato e che avrebbe collaborato con il nuovo presidente eletto”, dice Abu Eid. Tuttavia, pochi mesi dopo Israele ritirò le sue truppe e i suoi coloni dalla Striscia di Gaza nell’agosto 2005, “una mossa unilaterale senza alcuna coordinazione con Abbas”, spiega Abu Eid.
Sebbene Abbas divenisse presidente sia dell’OLP sia dell’Autorità Palestinese, e leader del movimento Fatah, queste organizzazioni sono “molto meno potenti” di quanto lo erano sotto Arafat, commenta Nathan Brown, socio del Carnegie Endowment for International Peace di Washington.
Popolarmente noto come Abu Ammar, nonostante il suo forte carisma, Arafat “non sapeva come delegare, come costruire delle istituzioni o come pianificare il futuro”, afferma Karim Bitar dell’International and Strategic Relations di Parigi. “Era un rivoluzionario, ma non uno statista. Era nato per l’azione e per la comunicazione, ma non per la strategia”, aggiunge. “Ha solo fatto promesse che non sono mai state mantenute”, sostiene Bitar. Le scadenze senza progressi degli accordi di Oslo hanno intaccato la poplarità di Arafat, sostiene Brown. “Nei suoi ultimi dieci anni, perse molta della sua attrattiva per via del suo fallimento nel dare uno Stato ai palestinesi”, aggiunge.
Come leader del movimento Fatah, che Arafat fondò alla fine degli anni ’50, anche Abbas oggi affronta battaglie intestine. Dalla Cisgiordania fino a Gaza risuonano queste parole: “Sotto Arafat non ci sarebbe mai stata alcuna divisione palestinese”. Tutti i palestinesi sono convinti che Abu Ammar non avrebbe mai permesso la quasi guerra civile tra Fatah e Hamas nel 2007. Infatti, “persino Hamas rispetta la sua memoria”, dice Brown. “Nonostante i suoi fallimenti e le sue decisioni sbagliate, il suo messaggio è giunto dai campi profughi in Libano fino ai palestinesi residenti in Cile, attraverso Gaza e la Cisgiordania”, commenta Abu Eid.
Sempre caratterizzato dalla sua kefiah, Arafat “era certo il leader di Fatah, ma anche un simbolo nazionale”, sostiene Brown, aggiungendo che “oggi è visto come un martire per la causa”.
Sarah Benhaida è una corrispondete per Agence France-Presse in Egitto.