Dibattiti di buon vicinato

Adlène Meddi, Mélanie Matarese, Mourad Sellami – El Watan dz (05/07/2013). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo

Dopo il colpo di stato in Egitto, valanga di commenti sulle pagine algerine delle reti sociali. Un motivo ricorrente è il ricordo di quel 12 gennaio 1992, quando l’esercito algerino ha bruscamente interrotto il processo elettorale.

Cuori, bandiere egiziana e algerina vicino alla foto del deposto presidente Mohamed Morsi con la didascalia “nessuna legittimità per sceicchi del Golfo e sionisti”. Questo il tono dei commentatori della pagina Facebook del Fronte per la giustizia e lo sviluppo, partito islamico algerino di Abdallah Djaballah. Mercoledì pomeriggio la questione egiziana era già chiara e in molti proponevano letture incrociate con il 12 gennaio 1992, data rimasta ben impressa nella memoria collettiva algerina perché segna l’inizio del decennio nero. Su questo si riapre il dibattito tra eradicatori e riconciliatori, ovvero tra chi propende per la linea dura contro le teste calde dell’islam politico e chi preferisce neutralizzarli inglobandoli nella compagine governativa o in un qualche processo sociale non meglio definito. Nessun colpo di stato invece, né in Egitto né in Algeria, per il generale algerino in pensione Abdelaziz Medjahed, secondo cui l’esercito algerino nel 1992 si è limitato a “correggere un processo elettorale deviato” e i militari egiziani a “rispondere all’appello del popolo che ha manifestato e firmato una petizione” per invitare Morsi a dimettersi.

Ahmed Adimi, politologo ex ufficiale algerino, a questo aggiunge che sono stati proprio i militari a permettere ai Fratelli Musulmani di prendere il potere in Egitto, ma questi ultimi hanno fallito perché “non si debella la disoccupazione con gli slogan religiosi”. Quindi la deposizione di Morsi è stato un atto necessario ”per salvaguardare la stabilità e l’integrità del paese”. Rispetto all’Algeria, spiega, ci sono due ordini di differenze. Anzitutto mentre l’esercito algerino ha agito di sua iniziativa con il sostegno di alcuni personaggi politici, il suo omologo egiziano non avrebbe mai potuto muovere un dito senza il consenso dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti e soprattutto degli Usa. Anche perché, va aggiunto, le proteste popolari che oggi interessano il mondo arabo (e paesi come Brasile o Turchia) cercano interlocutori più all’estero che in patria. Inoltre se il Fronte islamico di salvezza (Fis) algerino era un movimento più che un partito, sia pure in grado di canalizzare il malcontento dell’era di Chadli Bendjedid, i Fratelli Musulmani sono un’organizzazione ben strutturata, con un’ideologia definita, quasi un secolo di storia alle spalle e un ruolo chiave in tutto il mondo arabo. Medjahed fa notare che in Algeria nel ’92 l’esercito non è intervenuto direttamente, ma con la mediazione del Comitato nazionale istituito ad hoc, che riuniva rappresentanti della società civile, dei partiti, dei sindacati, delle associazioni dei partigiani. Una ricostruzione su cui Adimi non è d’accordo, visto che in entrambi i paesi i militari hanno solo cercato e trovato il pretesto dell’insofferenza di larghe fasce della popolazione nei confronti dei partiti islamici (che non risolvono problemi sociali e non sanno che propugnare cambiamenti di costume) per intervenire, “un messaggio eccellente per preparare l’opinione pubblica internazionale” all’eventualità di un colpo di stato presentandolo come un salvataggio in extremis. Unica differenza, continua Adimi, è nel fatto che in Algeria il Fis non ha avuto l’opportunità di arrivare al governo.

Di tutt’altro avviso è Hamlaoui Akouchi, del partito islamico moderato El Islah, che riscontra analogie significative tra i due paesi, in particolare la presenza di una “casta di politici, liberali e comunisti, che non credono nella democrazia e si appellano continuamente ai militari per battere i governi eletti”. Sulla stessa linea i commenti di esponenti e simpatizzanti del partito Ennahda, islamico moderato, che hanno immediatamente gridato al colpo di stato accusando l’esercito egiziano, al pari di quello degli altri paesi arabi, di “complicità con élites laiche estremiste”.

Diversa l’interpretazione di Mohamed Udai, generale in pensione ed ex allievo della Scuola ufficiali egiziana. “L’esercito si trova arbitro della situazione perché nei nostri paesi nessuno è riuscito ad affermare la democrazia” limitando le competenze dei militari a colpi di costituzione. Mancano politici laici di spessore e i capi di stato maggiore restano in carica a vita finendo per credere che il potere sia in realtà nelle loro mani e che le istituzioni abbiano solo un ruolo di rappresentanza, soprattutto internazionale. Non è un caso che le grandi crisi politiche del mondo arabo si risolvano quasi sempre in un testa a testa tra islamici e militari, le uniche due forze in grado di sopravvivere all’ombra (o a capo) di regimi autoritari. L’ex presidente egiziano Hosni Mubarak infatti, commentando la vittoria del Fis nel 1991, aveva detto che “l’Algeria è un paese debole con una direzione debole”. Malgrado gli scontri tra sostenitori e oppositori di Morsi, Udai esclude che i Fratelli Musulmani scelgano di reagire con la violenza, soprattutto perché non dispongono di boschi o montagne dove nascondersi e preparare le loro azioni. Neppure il terrorismo urbano sembra fattibile, dal momento che ogni quartiere e ogni palazzo ha i suoi informatori della polizia in incognito. Nondimeno resta la paura che le tensioni sprofondino il paese in una guerriglia urbana logorante per i rapporti sociali e la debole economia del paese. Indizio dell’incompatibilità quasi ontologica tra governo autocratico e gestibilità di un paese.

 

Emanuela Barbieri è specializzata in Comunicazione Digitale e Internazionale, SEO Specialist e Consulente di Marketing digitale.
Grazie alla lingua araba ha realizzato progetti ponte tra l'Italia e l'area MENA - Nord Africa e Medio Oriente -, affiancando alla laurea in Lingue e Comunicazione Internazionale una formazione in ambito digitale: siti web, SEO, digital advertising, web marketing.

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