Di Nesma Nowar (al-Ahram Weekly 10/09/2013)
Traduzione e sintesi di Kawkab Tawfik
Già in crisi, l’economia egiziana potrebbe essere ulteriormente danneggiata da un attacco USA contro la Siria.
Il ministro della pianificazione, Ashraf al-Arabi, ha dichiarato che tale intervento costituirebbe un forte ostacolo alla realizzazione dei piani economici locali e regionali. Ma secondo le analisi di Sherine al-Shawarby, professoressa di economia dell’Università del Cairo, un eventuale intervento militare non potrà mai raggiungere la portata delle sfide economiche che l’Egitto sta già affrontando. L’instabilità del paese ha già portato alla crisi del turismo, principale fonte economica del paese ed un attacco militare alla Siria porterebbe ad un arresto delle transazioni economiche tra i due paesi . L’instabilità della regione poi avrebbe ripercussioni sul turismo in Egitto e sugli investimenti stranieri diretti , che si troverebbero a pagare maggiori imposte assicurative sul Canale di Suez.
L’attacco provocherebbe anche un incremento del prezzo del petrolio che, secondo il Fondo Monetario Internazionale, dovrebbe ammontare di circa 10 $ USA in più per barile. Secondo L’Agenzia Energetica Internazionale, nello scorso anno il 35% della produzione petrolifera proveniva dal Medio Oriente e c’è da considerare che la Siria confina con l’Iraq, il più importante paese dell’OPEC dopo l’Arabia Saudita.
Tra le altre conseguenze, ci sarebbe l’aumento dei rifugiati siriani in Egitto, un punto questo, ancora non chiaro. L’opinione pubblica egiziana infatti sembrerebbe contraria ad un ingresso massiccio di rifugiati, visti come un ostacolo agli investimenti stranieri e come una presenza indesiderata nel già difficile mercato del lavoro. Si è fin da ora verificato un incremento della domanda di servizi da parte dei rifugiati presenti nel paese che hanno determinato un innalzamento dei costi di vita.
Da un punto di vista finanziario invece, l’Egitto sarebbe già stato colpito dall’eventualità di un attacco militare. Il valore della moneta è sceso del 4% solo nei due giorni successivi alla dichiarazione d’intervento USA. Ma il peggio sembra essere già passato. Quando nel 2003 USA dichiarò di invadere l’Iraq, la moneta egiziana perse il 10% del suo valore di cambio nella settimana precedente all’attacco, ma guadagnò poi il 12% nelle settimane successive poiché molti investitori che operavano in Iraq si trasferirono in Egitto.
I paesi del Golfo che finanziano tale intervento in Siria potrebbero essere al contrario più vulnerabili da questo punto di vista, rispetto all’Egitto che invece ha preso una posizione contraria all’intervento militare. Solo la borsa di Dubai ha già perso il 7% , quella del Qatar è scesa del 2.3%, mentre quella dell’Arabia Saudita del 3%.
Ma le conseguenze di un intervento militare non sarebbero solo regionali. Il vice ministro delle finanze cinese, Zhu Guangyao, ha lanciato infatti un monito al G20 tenutosi in Russia sulle eventuali ripercussioni a livello globale. L’aumento di 10$ del prezzo del barile di petrolio comporterebbe non solo un aumento dei prezzi ma anche un taglio alla crescita dell’economia mondiale dello 0,25%.