Dalle rivolte del 2011 ad oggi: cosa ha imparato il popolo e cosa non hanno imparato le élites.

Di Amr Hamzawy. Al-Quds (9/12/2019). Traduzione e sintesi di Cristina Tardolini.

I manifestanti in Algeria, Iraq e Libano non torneranno a casa. Non lasceranno così presto le pubbliche piazze per lo svolgimento delle elezioni presidenziali. Le dimissioni dei primi ministri, i negoziati e le rosee promesse di riforme legali, politiche, economiche e sociali non riusciranno a fargli lasciare la strada, diventata il loro principale strumento di opposizione pacifica e partecipazione collettiva per un futuro di cambiamenti. Dalle rivolte del 2011, la gente ha imparato che il rovesciamento dei soli presidenti e la creazione di nuove Costituzioni democratiche non è sufficiente per sbarazzarsi della tirannia. I governi post-insurrezione mettono presto da parte le promesse di riforma legale con la creazione di nuove leggi elettorali che non garantiscono l’eliminazione delle reti di corruzione. Le costituzioni scritte con intenzioni democratiche non possono avere successo da sole, senza la presenza di una volontà popolare radicale a lungo termine che costringa le élite al potere (intrise di autoritarismo, corruzione e settarismo) a rispettare l’indipendenza della magistratura e i poteri di controllo dei parlamenti, o sottoponendo a controlli le istituzioni militari e i servizi di sicurezza, o nel porre fine alla presenza delle milizie fuorilegge. Dagli esiti delle rivolte in Libia, Siria e Yemen, il popolo ha imparato che mantenere la natura pacifica delle loro proteste e astenersi dal confrontarsi con la violenza “ufficiale” (attraverso istituzioni militari e agenzie di sicurezza) e “non ufficiale” (attraverso milizie e bande di criminali) sono una garanzia per proteggere il loro paese dal caos e dalla mancanza di stabilità. Le élite autoritarie in Algeria, Iraq, Libano e Sudan cercano di coinvolgere le persone nella violenza per distorcere le loro proteste spingendole a infrangere la legge e commettere atti criminali tramite repressione, violazione delle libertà e dei diritti civili, talvolta uccidendo e spargendo sangue per spaventare i cittadini che protestano nelle piazze. Utilizzano campagne di distorsione dei media per diffondere il falso tra proteste e caos, e annunciano riforme parziali per svuotare la strada dei manifestanti: il risultato è un miserabile discorso politico che minaccia i cittadini di violenza civile se non accettano le dimissioni del governo e nuove elezioni presidenziali. Le proteste in Algeria, Iraq, Libano e, non da ultimo quelle in Sudan ci fanno capire come le élites arabe abbiano imparato poco: a causa delle reti di mecenatismo, della corruzione e del settarismo, esse non sono più in grado di impiegare politiche e pratiche innovative per prolungare la loro permanenza al potere nel contesto delle proteste popolari su larga scala.

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