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La cultura zen e l’ascesa dell’Asia

Di Khalil Hassan. Elaph (01/08/2014). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Dai tempi della rivoluzione islamica iraniana, il Medio Oriente è dilaniato da un terribile conflitto religioso, dottrinale e settario, che rischia di provocare la frantumazione dell’assetto regionale in tanti piccoli Stati a carattere etnico-confessionale, logorati dal caos e dalle divisioni. Questo era appunto il sogno dello Stato sionista, come lo delineava all’inizio degli anni ’80 la conferenza mondiale sul sionismo, patrocinata da Israele. Tel Aviv ha giocato un ruolo importante nei processi storici che hanno portato all’attuale stato di cose in Medio Oriente, ma al contempo ha iniziato a pagarne il prezzo. La nuova fase di terrore che da tempo dilania la Striscia di Gaza arriva fino al cuore di Israele.

Resta tuttavia una questione imbarazzante: siamo riusciti a fare qualcosa di concreto per le due questioni della religione e della vita in Medio Oriente? È davvero importante sviluppare una cultura religiosa che concili le istanze spirituali con quelle terrene e con le esigenze pratiche, per evitare complicazioni dovute ai malintesi della politica e della religione e ai dissidi religiosi, confessionali e settari? Per rispondere si potrebbe analizzare come l’Estremo Oriente affronta simili questioni, poiché lì filosofia e cultura religiosa concorrono all’armonia, allo sviluppo, alla costruzione, non alla segregazione, all’arretratezza e alla distruzione.

Uno spunto interessante può essere offerto da Lo Zen e la cultura giapponese, di Daisetz T. Suzuki. Nell’introduzione si legge che lo Zen è il prodotto del contatto tra il pensiero cinese e indiano, avvenuto quando gli insegnamenti del Buddha si sono diffusi in Cina, dal I secolo d.C. È stato infatti il pensiero cinese, e in particolare i filosofi taoisti, a rimeditare nel profondo la filosofia buddista elaborando lo Zen. La sua particolarità è la continua attenzione per la pluralità del mondo reale, l’aspetto pratico e realistico della vita quotidiana, come dimostrano le regole della vita monastica. I monaci zen sono una sorta di microcosmo autonomo, diviso in vari settori, ognuno dei quali ha una sua funzione all’interno della comunità. Qui si possono notare le basi stesse della democrazia, come il rispetto naturale per le persone anziane, la necessità che tutti i membri della comunità, inclusi i maestri, collaborino da pari unendo le forze. Per questo quando un maestro zen si interroga sul suo futuro dice: “Fammi essere un asino o un cavallo per servire la gente del villaggio”. I monaci zen non sono impegnati solo nelle pratiche di devozione o nella lettura dei testi sacri, ma anche in attività, manuali o di concetto, utili alla comunità. Talvolta ascoltano brevi discorsi dei maestri rivolgono domande e ne discutono, ricevendo quasi sempre risposte ermetiche ma accompagnate da azioni esemplari. I maestri zen credono nei principi dell’azione individuale e considerano l’azione la vera forma di devozione.

La dottrina zen ha unito la disciplina nell’illuminazione e la ricerca di quest’ultima, che è indipendenza e vera libertà. La libertà infatti viene dall’illuminazione e solo quando scopre questa verità l’uomo è spiritualmente libero. Anche nei momenti più difficili lo Zen insegna a conoscere e rispettare se stessi. L’illuminazione è dunque il nodo centrale di tutte le scuole di pensiero buddiste, al punto che gli insegnamenti del Buddha iniziano con la sua esperienza dell’illuminazione, quando 2500 anni fa lasciò suo padre, che era re, e il palazzo rifugiandosi nel bosco a meditare. Per questo ogni buddista dovrà raggiungere l’illuminazione in questa o in un’altra vita, con la parola, l’azione e lo studio del pensiero zen.

Nondimeno la meditazione avviene necessariamente in situazione, ovvero nella realtà concreta. “Considera le parole vive, non quelle morte, e le parole morte sono quelle che non si possono trasformare direttamente e con certezza in esperienze reali. Non sono altro che sogni venefici, che hanno reciso le loro radici nella realtà della vita e sono morti”. Dunque la seconda disciplina nel cammino verso l’illuminazione è l’azione, poiché se anche le parole possono far parte della sfera dell’azione se sono fondate l’azione in sé rappresenta qualcosa di positivo e tangibile.

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