Di Najwa Barakat. Al-Araby al-Jadeed (04/10/2016). Traduzione e sintesi di Laura Formigari.
Chi non ha visto la distruzione di Aleppo non sa cos’è la rovina. Le esplosioni quotidiane, il sangue raggrumato e mischiato alla polvere sui volti dei passanti e dei residenti. Pietre, uomini e un numero intollerabile di bambini morti che giacciono sotto la polvere come se, oscillando, il ventre della terra li sputasse fuori lì, dove crollano le case.
Chi non conosce il silenzio di Aleppo non sa cos’è l’atrocità. Un silenzio di metallo, che squarcia il muro del suono degli uccelli di acciaio che, librandosi nel vuoto, sputano il loro fuoco sulla storia della città più antica del mondo. Il cuore di Aleppo è coperto da un silenzio che pesa tonnellate, dall’odio cieco di uccelli che beccano le viscere della civiltà e della tragedia.
Chi non ha visto il dolore di Aleppo non sa cos’è la catastrofe. Da sotto le macerie, dal cuore della tomba, rendetevi conto una volta per tutte, voi assassini criminali, che la mappa incisa sui petti nudi e distrutti, rimane lì, conficcata nella carne, nei geni. Non sarà vostro questo paese, questa non è la vostra sorgente né la vostra acqua, queste non sono le vostre famiglie, le vostre chiavi, qui non c’è la vostra ultima terra, il vostro cimitero. Perfino da morti non vi vogliamo, perfino da perdenti insudiciati nel fango dell’umiliazione, non vi vogliamo con noi. Passerete sulla superficie della storia, un ascesso che il tempo non tarderà ad aprire.
L’espressione “crimine contro l’umanità” è apparsa per la prima volta durante la Prima Guerra Mondiale, a causa del genocidio perpetrato dai turchi nei confronti della popolazione armena nel 1915, quando Russia, Francia e Regno Unito condannarono quel massacro chiamandolo “crimine contro l’umanità e la civiltà”. L’idea di “crimine contro l’umanità” è giunta come risposta alle azioni disumane non legate a errori o ad azioni militari, come ad esempio i crimini di guerra, ma a quelle con lo scopo di uccidere e perseguitare comunità civili che rappresentano un ostacolo per l’autorità; e questo attacco all’umanità può avvenire anche senza prendere la forma di genocidio. Tale concetto ha trovato una migliore definizione nelle parole di André Frossard, giornalista e accademico francese: “[Si commette] un crimine contro l’umanità quando si uccide qualcuno con il pretesto che è nato”. La nascita rimanda a tutto ciò che è naturale nell’essere umano: classe sociale, educazione, religione, etnia, etc.; ciò significa che questi crimini colpiscono l’umanità del singolo e della collettività da cui dipende, privando la vittima della sua dignità e dei suoi diritti e queste sono le motivazioni, non le conseguenze del crimine. Il motivo non è esterno, ma è esso stesso il crimine. Attualmente non esiste una tragedia come quella del popolo siriano. I numeri parlano, le immagini parlano, l’umanità è sorda e le coscienze dormono.
I crimini contro l’umanità continuano a ripetersi dinanzi agli occhi di tutti. Che cos’è che impedisce alla voce del mondo di sollevare la sua protesta? Cosa imbavaglia le bocche di chi difende i diritti degli oppressi? Perché le società civili non si sono mobilitate?
I fatti sono qui sotto gli occhi, a portata di mano. C’è chi tutti i giorni uccide i civili, li assedia e li costringe alla fuga perché non corrispondono alla sua visione di “popolo”. E c’è chi appoggia questa visione e viene a colpire una terra che non è la sua, un popolo che non è il suo. La questione è molto semplice: il crimine contro l’umanità è disgustoso come il silenzio che lo circonda.
Najwa Barakat è una scrittrice libanese.
I punti di vista e le opinioni espressi in questa pubblicazione sono di esclusiva responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente il punto di vista di Arabpress.eu