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Che cos’è successo agli studi sul Medio Oriente?

Medio Oriente

Di Paul Sedra. Mada Masr (11/10/2015). Traduzione e sintesi di Omar Bonetti.

Dopo l’11 settembre le università hanno dato maggiore spazio agli studi sull’Islam, creando un’eccedenza di posizioni, di conferenze, di progetti di ricerca contrapposti agli studi sul Medio Oriente.

Chi l’avrebbe mai detto che questa tendenza sarebbe durata così a lungo? Del resto il dipartimento sul Medio Oriente, in cui ho iniziato a lavorare sedici anni fa, ha mutato il proprio nome in “Dipartimento sul Medio Oriente e sull’Islam”. C’è una certa ironia in questo cambiamento, poiché è avvenuto proprio nel posto in cui mi fu insegnata l’importanza di dare spazio sia alle dinamiche strettamente religiose sia a quelle politiche e storiche di un’intera regione.

Questo ragionamento, tuttavia, non ha lo scopo di dimostrare che gli studi sul Medio Oriente, intesi come cornice concettuale, siano problematici o troppo complicati da affrontare. Il bisogno di andare oltre ai rigidi confini degli “studi di area” è urgente. Alla stessa maniera, non si vuole comunicare che lo studio dell’Islam non sia importante, né irrilevante. Al contrario, con l’ascesa di organizzazioni come Daesh (ISIS), che fanno ricorso all’Islam come idioma politico, l’esigenza di investire in analisi pragmatiche e demistificare le svariate esperienze di vita dei credenti è più importante che mai.

Comunque, a differenza di quanto accade con gli studi sul Medio Oriente, il costante ricorso all’Islam come inquadramento concettuale nei circoli accademici contemporanei, con la conseguente esclusione di altri approcci, può essere pernicioso e problematico. Per esempio, all’inizio del mio corso di Storia Moderna del Medio Oriente, pongo sempre un grande accento su questa regione che, come ogni altra, deve sfidare la facile categorizzazione, soprattutto alla luce della sua incredibile diversità.

C’è chi suggerisce che gli studi sull’Islam possono e dovrebbero abbracciare tutte le ricerche sulle “società islamiche” o sui “sistemi di Governo a maggioranza musulmana”. Ciononostante, questo tipo d’inquadramento privilegia, comunque, l’elemento islamico e musulmano a quello eretico ed ortodosso, a quello sacrilego e al laico, e anche a quello non-musulmano. Inoltre, se si afferma che gli studi sull’Islam sono inclusivi, allora bisogna chiedersi: “Quanti sono quelli che studiano i non credenti nelle società islamiche o nei paesi con Governi a maggioranza musulmana e che effettivamente afferiscono al dipartimento di studi sull’Islam?”

Ogni volta che mi capita di trovare nuovi posti di lavoro, conferenze, ricerche e progetti all’interno degli Studi sull’Islam, non soltanto non posso che pensare ai milioni di abitanti del Medio Oriente, rigettati dalle università poiché “non-credenti”, ma non posso fare a meno di chiedermi, con un guizzo di nostalgia, che fine abbiano fatto gli studi sul Medio Oriente.

Paul Sedra è un professore associato di Storia presso la Simon Fraser University in Canada.

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Roberta Papaleo

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