Salve a tutti e ben ritrovati.
Con grandissimo piacere vi presento il Direttore del Conservatorio di Musica “Santa Cecilia”, il M° Alfredo Santoloci. Insieme a lui presento i segni di una svolta e di un’apertura al mondo e alle identità culturali-musicali “altre”, che accolgo e sostengo con molto entusiasmo. Arabpress diventa un luogo ideale di diffusione della notizia di tale apertura in quanto, come vedremo tra poco, la sede del Conservatorio ha ospitato recentemente, il 27 marzo 2014, un concerto tenuto da musicisti iraniani, come potete vedere nella locandina. Ma c’è anche altro nell’aria, come leggerete più avanti.
Nella cornice del Teatro romano di Tor Bella Monaca, presso il quale si sta svolgendo, quest’anno, una rassegna di concerti organizzati proprio dal Conservatorio, la domenica mattina, intervisto il Direttore M° Santoloci e, con l’occasione, conosco anche la splendida studentessa iraniana, Camellia Fatthai, che ha suonato il pianoforte nel concerto del 27 marzo.
C.: Direttore, sono veramente lieta di cogliere i segnali di cambiamenti, da quando lei conduce il Conservatorio di Santa Cecilia, che lasciano ben sperare nell’ottica di un’apertura di un’istituzione importante come quella che lei dirige, da novembre 2013, verso identità e tradizioni musicali “altre”. Confesso che da molto aspettavo e auspicavo questo momento. Non posso fare a meno di notare che un gruppo etnico come i Mish Mash, ad esempio, siano stati ospitati in quel bellissimo concerto che si è svolto per commemorare il Giorno della Memoria, ed ora questo evento, il 27 marzo, con dei musicisti iraniani e i loro strumenti tradizionali. Sono curiosissima, pertanto, di sapere se ci sarà un seguito, se tutto questo rientra in un suo progetto a lungo termine o, al contrario, se va considerato come un episodio occasionale. A lei la parola!
D.: Grazie della domanda, a cui rispondo “assolutamente sì”. Ci sono progetti futuri, anche, che riguardano l’Oriente, la Cina in particolare. Ribadisco che la risposta, in merito all’apertura del Conservatorio, è positiva e consapevole. Ritengo sia una cosa doverosa, se pensiamo che fra i nostri studenti ci sono rappresentanti di quaranta paesi stranieri. Prenderne atto vuol dire anche saper relazionarsi con loro in quanto portatori e depositari di una propria identità culturale, prima ancora che musicale. Questo comporta quindi un’apertura totale del Conservatorio, dal Direttore ai docenti, alla segreteria e a tutto il personale, agli studenti stessi. Il Conservatorio diventa una sorta di laboratorio interculturale ed è interessantissimo, oltre che molto stimolante; devo dire che mi piace molto. “Santa Cecilia”, nel suo essere un conservatorio centrale, sul territorio italiano, accoglie studenti dalla Siberia come da Gerusalemme, dal Maghreb come dal Mashreq. Diventa
fondamentale e, ripeto, anche molto stimolante per noi, sapere interagire con loro sapendo che portano con sé la propria cultura, prima ancora che la musica del loro paese d’origine. Trovo che sia un arricchimento notevole e comporta uno sforzo, soprattutto per i docenti di conservatorio, abituati da lungo tempo ad insegnare a studenti italiani, secondo metodologie assodate in tale direzione. Ma le cose, appunto, stanno cambiando e gli studenti provengono da ogni parte del mondo. Ognuno, i docenti stessi, devono riadattarsi a questa realtà. Non è facile ma, ripeto, lo trovo estremamente stimolante ed interessante. Mi rendo conto che questo percorso di apertura, dai docenti al personale di segreteria e non solo, dipenderà molto da come io condurrò la questione… Ma vedo che c’è una buona predisposizione in tal senso e sono molto fiducioso.
C.: Direttore, sto per dirle una cosa perché so che lei viene dal mondo del Jazz. C’è una forte relazione tra la musica del mondo arabo e il Jazz; credo che sia un aspetto interessante da riprendere e sviluppare, magari in futuro, all’interno di “Santa Cecilia”.
D.: Certo! Diciamo che fino a tutto il quindicesimo secolo la musica del mondo arabo ha avuto uno stretto collegamento, una sintonia col mondo occidentale. Per tutto il ‘300 ed il ‘400 le strade (araba ed occidentale) si incontravano e confluivano in centri, come Venezia, luoghi ideali per lo scambio interculturale, in quel tempo, anche grazie agli scambi commerciali, che mettevano in contatto genti di varie parti del mondo. Poi è successo che in Italia, in Europa, la musica è stata sempre più codificata e legata alla sua messa per iscritto e, di conseguenza, le prassi improvvisative venivano sempre di più abbandonate. Nel mondo arabo-islamico invece questo aspetto è rimasto vivo e, quindi, l’improvvisazione, la circolarità, che facevano parte della musica occidentale ancora fino al Rinascimento, là sono rimaste molto evidenti, determinando una divaricazione sempre maggiore rispetto al percorso della musica nella storia occidentale, soprattutto in ambito colto. Il Jazz, a differenza di altri generi musicali occidentali, privilegia l’improvvisazione e in questo, sicuramente, possiamo trovare degli agganci con la prassi musicale (improvvisativa) nella musica arabofona. Al di là delle sintassi, quindi, degli accenti, possiamo ravvisare nel Jazz caratteristiche, nella prassi esecutiva e nel linguaggio musicale, che nel resto della musica colta occidentale si sono perse. In essa, infatti, ci si è legati sempre di più al suo essere scritta e l’evento musicale è determinato proprio dal suo essere fissato e codificato in ogni aspetto. Nel Jazz la partitura, invece, è solo un pretesto per quel che poi viene suonato. Nella musica del mondo arabo-islamico gran parte del fare musica è ancora legato alla prassi improvvisativa per cui, in questo senso, possiamo dire che ha elementi comuni con il Jazz.
C.: Certo, non dimentichiamo, comunque, che anche nella musica araba esiste un repertorio colto e scritto.
D.: Sì sì, di sicuro. Rimane comunque questo aspetto improvvisativo, come elemento caratterizzante, che trovo molto affascinante e che la collega anche al fare musica in ambito popolare.
C.: Pochi anni fa, a Trieste, partecipai con il Dottor M.Walid Shosha, Direttore del Museo del Cairo “Um Kulthum”, il compositore e percussionista jazz Fabio Jegher e Ziad Trabelsi, voce e oud dell’Orchestra di Piazza Vittorio, ad una conferenza-concerto, nell’ambito del progetto “Emozioni e mathesis” promosso dalla Regione Friuli. Ci divertimmo molto a mettere in risalto la vicinanza, per vari aspetti, tra la modalità tipica della musica del mondo arabo e mediterraneo e il Jazz, appunto, anch’esso modale ed aperto, come lei giustamente ha sottolineato, all’esplorazione mediante l’improvvisazione. Fabio Jegher e Ziad Trabelsi suonarono, con oud e batteria “etnica”, alcuni brani di Um Kulthum, la Stella d’Oriente, eseguiti in maniera tradizionale all’inizio e poi, come colori che mutano cangianti davanti ai nostri occhi, così fecero loro per le orecchie del pubblico, tanto che brani tradizionali arabofoni diventarono di colore diverso: jazz. È stato bellissimo: un passaggio così gradevole e naturale da non percepire conflittualità stilistica né culturale. Anche un grandissimo musicista marocchino come Jamal Ouassini, ad esempio, è a favore di armonizzazioni modali di stile jazzistico, nei confronti di melodie arabe, piuttosto che armonizzazioni tonali che, ahimè, costringono il linguaggio modale a forzature estranee alla sua natura.
D.: Sono d’accordo, certo. È chiaro che la componente modale della musica arabofona si sposa meglio con quella, altrettanto modale, del Jazz, consentendo confluenze molto più naturali rispetto al linguaggio tonale.
C.: Sì, i colori armonici tipici del Jazz arricchiscono la tavolozza musicale arabofona di nuovo sfumature e pennellate, interessanti e non prevaricatori nei confronti della sua intima natura.
D.: Infatti, e questo ci consente di comprendere, come accennavamo prima, il perchè sia nel Jazz che nella musica arabofona, l’improvvisazione abbia un ruolo così importante: proprio la mancanza di forti componenti gerarchiche tra le armonie, caratteristiche invece della tonalità e dei suoi condizionamenti, permettono maggiori libertà, fluidità, esplorazioni melodico-armoniche che convogliano, appunto, nella prassi improvvisativa.
C.: Direttore, io lancio l’amo sperando che vanga raccolto. Non sarebbe bello se, all’interno di una futura programmazione del Conservatorio che lei dirige, trovasse posto qualche seminario con molta musica, sorta di conferenze-concerto, quindi, per dare spazio ad approfondimenti sulla vicinanza tra i linguaggi tipici del mondo musicale arabofono e quello del Jazz? Che ne pensa?
D.: Direi che la cosa mi interessa molto e penso che si possa prendere in considerazione, certo!
C.: Vogliamo parlare, adesso, di un progetto molto intrigante a cui lei sta pensando? Sta pensando ad un ponte musicale tra Roma e Dubai, vero?
D.: Sì, infatti. È in progetto su cui sto lavorando perché mi piacerebbe molto portare la nostra musica e le nostre tradizioni in luoghi in cui queste non arrivano. Dubai potrebbe essere un luogo privilegiato, anche per questioni finanziarie, per concretizzare questa idea. Sono certo che una proposta del genere potrebbe essere accolta con molto interesse proprio perché si tratta di zone che difficilmente hanno possibilità di confronto con tradizioni come le nostre, in campo musicale. Mi piacerebbe aprire in quella zona una scuola di musica, una seconda “Santa Cecilia”, e portare qui da noi i loro musicisti, con le loro tradizioni musicali e la loro cultura. È da un po’ che ci sto lavorando su e che sono in contatto con le autorità locali, vediamo che succederà.
C.: Grazie Direttore, trovo che sia un’ottima idea, soprattutto dal momento che prevede uno scambio ed una conoscenza reciproca di culture e musiche tra i due fronti e che non si limita, quindi, ad essere mera esportazione della musica occidentale. Per i lettori, presentiamo anche Camellia Fatthai, giovane studentessa di pianoforte a “Santa Cecilia”, che ha suonato in occasione del concerto del 27 marzo, insieme ai musicisti iraniani. A proposito, Direttore, quei musicisti erano anch’essi studenti del Conservatorio o no?
D.: No, in Conservatorio sono effettivamente presenti molti studenti provenienti dall’Iran come da altri paesi del mondo arabo. Questi, in particolare, sono venuti appositamente dall’Iran e non sono nostri studenti.
C.: Bene, grazie della precisazione e colgo l’occasione, finalmente, per rivolgermi a Camellia. Tu vieni dall’Iran, giusto? Da quanto tempo sei in Italia?
Camellia: Sono in Italia da tre anni e mezzo e qui, a Roma, ho scelto di studiare il pianoforte. In Iran non era possibile studiarlo perché dovevamo scegliere solo tra strumenti tradizionali.
C.: Capisco. E quali sono gli strumenti proposti nei programmi di studio iraniani, nel Conservatorio? Tu quale strumento avevi scelto?
Camellia: Gli strumenti che si studiano da noi sono quelli tradizionali come il daf, il tar, il kemanchè, il santur…. Io avevo scelto il santur.
C.: Benissimo, e il pianoforte deriva proprio dal santur, sapete? Hanno in comune il meccanismo della percussione delle corde. Camellia, confermi che il santur si suona con le bacchette?
Camellia: Sì sì, è proprio così!
D.: Ah, interessante questo! E quindi il salterio, il clavicembalo, il pianoforte…
C.: Diciamo che, con l’occupazione dei Mori in Andalusia, strumenti come il qanun ed il santur sono arrivati in Europa e hanno “stimolato” la nascita o lo sviluppo di strumenti che poi hanno preso strade diverse, nella storia musicale europea. Il qanun ha corde che vengono pizzicate da anelli metallici che il suonatore mette alle dita, ed è complicatissimo da suonare perché prevede che le corde vengano accordate continuamente durante l’esecuzione, anche su microtoni, in base al modo (maqam) del brano e alle eventuali modulazioni tra un modo e l’altro. Il clavicembalo, in virtù del meccanismo a pizzico, discende dal qanun piuttosto che dal santur nel quale, come abbiamo detto, l’esecutore percuote le corde con delle bacchette. Sono strumenti dal suono meraviglioso. Il salterio medievale è sicuramente imparentato con il qanun ed il santur.
Grazie, Camellia, e buon proseguimento di studio a “Santa Cecilia”!
Carissimo Direttore, la saluto ringraziandola per la sua disponibilità e cortesia. Attenderemo notizie circa Dubai e gli eventuali prossimi eventi che riguardano la musica nel mondo arabo-islamico. In bocca al lupo per tutto e speriamo davvero che la sua direzione, in Conservatorio, porti ad una genuina e proficua apertura verso le identità culturali “altre” e le rispettive tradizioni musicali, all’insegna della conoscenza reciproca e, come giustamente diceva lei, consapevoli che si tratta di un arricchimento, per tutte le parti in causa. Buon lavoro!
Cinzia Merletti