Di Burhan Ghaliuon. Al-Araby al-Jadeed (25/05/2017). Traduzione e sintesi di Veronica D’Agostino.
La conferenza arabo-islamica americana di Riyad, tenutasi il 21 maggio scorso, rappresenta un grande cambiamento nella politica degli Stati Uniti nei confronti del Medio oriente, rispetto a quella della precedente amministrazione Obama. Secondo i Paesi del Levante, e quelli del Golfo in particolare, questa conferenza costituisce un evento senza precedenti.
Gli accordi derivati da essa avranno un impatto significativo sul corso dei conflitti in atto nella zona, anche se nessuno è in grado di prevedere o di conoscere sin da ora i limiti di questo o di misurare l’impegno delle parti. La cosa più rilevante però, non sono stati gli accordi economici e commerciali siglati durante l’incontro, quanto i valori e i significati relativi all’accordo politico e di ciò che si cela dietro di esso.
Questo può essere riassunto in tre punti. Il primo riguarda il ripristino di una maggiore partecipazione degli Stati Uniti d’America nelle questioni del Medio Oriente, dopo che la precedente amministrazione aveva aderito alla politica del ritiro militare dalla zona. Il secondo si riferisce al fatto che gli USA hanno aggiunto un punto nuovo agli obiettivi che l’amministrazione Obama non aveva accettato e ciò ha posto un limite al sogno iraniano di avere pieno controllo sul Levante; infatti, l’importanza di questo punto deriva dal fatto che esso pone le milizie finanziate e dirette da Teheran allo stesso livello delle milizie e delle organizzazioni estremiste sciite, come quella libanese degli Hezbollah. Il terzo e ultimo punto riguarda, invece, l’entrata per la prima volta di Israele come partner nella lotta per ricostruire il sistema regionale e garantire sicurezza in tutta l’area, combattendo il terrorismo e fermando l’avanzata iraniana nella regione.
L’aspirazione dell’Arabia Saudita e dei Paesi del Golfo è quella di formare una nuova alleanza politico-militare con gli Stati Uniti che ricordi quella della NATO, di cui Riyad finanzierà, probabilmente anche insieme agli altri Paesi arabi, i costi di realizzazione. Non c’è dubbio che la creazione di questa alleanza rappresenterà un fattore importante per le politiche della zona e che numerosi paesi arabi, minacciati dall’invasione iraniana e russa, ne beneficeranno. Tuttavia, questa avrà anche forti ripercussioni sul conflitto in Siria, che ha trasformato le parti coinvolte nel principale focolaio di guerra regionale e internazionale.
Al fine di comprendere la natura di questa alleanza è necessario fare alcune osservazioni. La prima è legata alla reale partecipazione degli Stati Uniti nella regione. Quello che si sa sulla nuova amministrazione americana è che sembra essere più un patto che una scelta politica oppure l’espressione di nuovi piani geostrategici o un impegno giuridico-politico attraverso il quale Washington fornisce assistenza ai Paesi del Golfo in cambio di decenni di aiuti militari ed economici. Questo può indebolire la natura strategica dell’alleanza e permettere all’America di sfruttare la situazione difficile in cui si trovano questi Paesi per ottenere ulteriori guadagni, senza avere alcun interesse per il destino della regione.
La seconda osservazione da fare riguarda la natura della risposta araba, e dei Paesi del Golfo nello specifico, alla grande sfida posta da quello che oggi viene definito come “il terremoto del Medio Oriente o del Levante”. Questo non si limita soltanto all’invasione del regime iraniano, alla violazione del diritto internazionale e alla progettazione di invadere e distruggere gli Stati per aprire un corridoio sul Golfo affrontando le pressioni dall’Occidente, ma include soprattutto lo scoppio della crisi data dal fallimento dei regimi autoritari arabi con la conseguente presenza di singoli gruppi, partiti ed élite al potere, che ha condotto alla corruzione fisica e morale della società, alla perdita di legittimità e di credibilità, nonché al risentimento e all’indignazione generale.
Inoltre, la scelta di garantire alleanze internazionali e regionali e di rafforzare le forze di difesa militare con la partecipazione degli americani non costituisce nulla di nuovo, se non una vecchia opzione che continua da decenni ad impedire ai Paesi arabi di concentrarsi su se stessi e di porre le basi per costruire la propria forza e la propria autodeterminazione, mirando a una cooperazione interna senza dover dipendere dall’esterno.
Sicuramente lo sforzo che la società arabo-islamica di tutto il mondo sta compiendo per contenere la crisi ed evitare il collasso è notevole e positivo ma questa scelta, sebbene darà un attimo di respiro ai paesi arabi, non può essere la soluzione per il futuro. L’Iran costituisce la principale minaccia alla stabilità e alla sicurezza dei popoli della regione a causa delle sue aspirazioni imperialiste, ma la sua rimozione dalla scena non significa aver risolto il problema. Le soluzioni adottate possono essere più forti di esso e minare i Paesi arabi del Levante dall’interno utilizzando i loro punti deboli, le divisioni interne e la corruzione dei regimi al fine di distruggere i loro progetti e agire a spese degli interessi del suo popolo e della loro capacità di erigere qualsiasi forma di stato o di società equilibrata, organizzata ed efficace. Questo è il punto.
Burhan Ghaliuon è un accademico siriano, professore di sociologia politica alla Sorbona di Parigi e primo presidente del Consiglio nazionale dell’opposizione siriana.
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