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Come si è arrivati a Yarmouk

Yarmouk Siria

Di Ramzy Baroud. Middle East Monitor (14/09/2015). Traduzione e sintesi di Cristina Gulfi.

Quando le milizie sioniste Haganah condussero l’Operazione Yiftach il 19 maggio 1948, l’obiettivo era guidare i palestinesi nel distretto settentrionale di Safad fuori dal confine di Israele, che aveva dichiarato la propria indipendenza appena 5 giorni prima. La pulizia etnica non riguardò solo l’area di Safad. Quello infatti era il modus operandi delle milizie sioniste in tutta la Palestina.

Gli abitanti di alcuni villaggi, come Qaytiyya, restarono nelle loro case, ma li attendeva un destino peggiore di chi era stato costretto a sfollare o era scappato. Dopo meno di un anno, infatti, le forze israeliane tornarono, li ammassarono su grandi camion, li torturarono e infine li scaricarono a sud di Safad. Molti di quei sopravvissuti finirono nel campo profughi di Yarmouk, in Siria.

Yarmouk fu istituito nel 1957, ma anche allora non era un campo profughi “ufficiale”. Molti dei suoi residenti erano abusivi a Sahl Al-Yarmouk e in altre aree, prima di essere portati a Shaghour Al-Basatin, vicino Ghouta. L’area fu rinominata Yarmouk.

Gran parte dei rifugiati a Yarmouk provenivano dal nord della Palestina – dal distretto di Safad e da villaggi come Qaytiyya, Al-Ja’ouneh e Khisas. Hanno vissuto in quella regione per circa 67 anni. Impossibilitati a tornare in Palestina, benché speranzosi, hanno dato alle strade, ai quartieri e perfino alle panetterie, alle farmacie e alle scuole gli stessi nomi dei loro villaggi.

Quando, nel marzo 2011, è scoppiata la rivolta siriana, molti hanno esortato a risparmiare dalla guerra i palestinesi, che avevano già pagato un caro prezzo negli altri conflitti regionali – la guerra civile giordana e quella libanese, l’invasione del Kuwait e dell’Iraq. Gli inviti all’hiyad  (neutralità) sono rimasti inascoltati dalle diverse fazioni in guerra, mentre la leadership palestinese, incompetente e stretta a Ramallah, non è riuscita a valutare la gravità della situazione, né a fornire una guida morale o politica.   

I risultati sono stati spaventosi. Circa 3.000 palestinesi sono stati uccisi, in decine di migliaia hanno lasciato la Siria o sono diventati sfollati interni, mentre il viaggio disperato lontano dalla loro terra ha continuato il suo orribile corso.

Yarmouk aveva più di 200.000 residenti, la maggior parte dei quali registrati dall’UNRWA. La popolazione si è ridotta a meno di 20.000 persone. Gran parte del campo è in totale rovina. Chi non è morto di fame o non è stato ucciso è scappato in altre parti della Siria o in Libano, Giordania, Turchia ed Europa. 

La cosa più normale sarebbe stata tornare a Safad e nei villaggi come Qaytiyya, ma Israele ha respinto richieste del genere e non ha accettato nemmeno un rifugiato, a fronte di 1,72 milioni di rifugiati accolti dal Libano, 1,93 milioni dalla Turchia, 629.000 dalla Giordania, 249.000 dall’Iraq e 132.000 dall’Egitto.

Israele, l’economia più forte della regione, ha avuto il pugno più duro in termini di accoglienza ai profughi siriani. È un doppio peccato se si considera che i rifugiati palestinesi sono stati lasciati senza casa per la seconda volta.

Il dibattito in Israele continua a focalizzarsi sulle minacce demografiche, con una retorica carica di connotazioni razziali sulla necessità di preservare la cosiddetta identità ebraica. Stranamente, pochi a livello mediatico hanno evidenziato come questa posizione sia particolarmente vergognosa nel mezzo di una crisi umanitaria senza precedenti. 

Mentre i rifugiati di Qaytiyya, la cui situazione si rinnova di tanto in tanto, vedono ancora negato il loro diritto al ritorno, come stabilito dalla risoluzione 194/1948 dell’ONU, Israele gode di uno status speciale. Non viene ripreso né forzato a rimpatriare i profughi palestinesi ed anche ora è esonerato dal contribuire, seppur minimamente, ad alleviare la crisi dei rifugiati nella regione.

Gli Stati europei, insieme ai ricchi Paesi del Golfo, devono essere costantemente sotto pressione perché aiutino i rifugiati siriani fino a quando potranno tornare a casa senza correre rischi. Perché Israele dovrebbe essere esente da questa linea d’azione necessaria? Deve essere spinto, forse con più forza degli altri, a fare la sua parte iniziando proprio dai profughi di Qaytiyya, che gli israeliani cacciarono 67 anni fa e che oggi stanno rivivendo la stessa sorte.   

Ramzy Baroud scrive di Medio Oriente da più di 20 anni. È giornalista internazionale, consulente mediatico, autore di diversi libri e fondatore di PalestineChronicle.com. 

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