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Come curare la Libia dall’estremismo islamico

El Watan (05/09/2014). Traduzione e sintesi Carlotta Caldonazzo.

Il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika sembra non concordare con la soluzione proposta per la Libia dal suo omologo egiziano, Abdelfattah El Sisi, che peraltro finora non ha raggiunto risultati significativi. Una strategia basata sul sostegno militare e logistico al generale libico Haftar, diversa dunque da quella di Algeri, i cui servizi di sicurezza preferiscono dare supporto ai Fratelli Musulmani e ad altri gruppi appartenenti alla corrente denominata salafismo scientifico, contro le milizie takfririste.

Su questa linea va letto l’incontro di Bouteflika con il capo storico del movimento tunisino Ennahda Rached Ghannouchi, che avvicina l’approccio algerino con quello del Qatar: esso ha infatti lo stesso processo interpretativo, che individua alla base degli scontri tra le milizie libiche la lotta per il potere tra Fratelli Musulmani e affini, da un lato, e gruppi jihadisti, dall’altro. A questo proposito, fonti vicine ai servizi di sicurezza algerini hanno rivelato colloqui ufficiosi tra Algeria, Turchia e Qatar con l’obiettivo di condurre la Libia verso un assetto istituzionale stabile. In questa insolita triplice alleanza, emerge tuttavia una differenza non trascurabile: Ankara e Doha hanno un reale peso politico in Libia, mentre Algeri ha come unico interesse quello di tutelare il proprio territorio dagli sconfinamenti di contrabbandieri e miliziani provenienti dal Paese vicino.

In effetti, la rivalità politica in Libia tra Fratelli Musulmani e movimenti più radicali è cominciata molto prima della battaglia per la conquista dell’aeroporto internazionale di Tripoli. In particolare, a Derna e Misrata si sono registrati scontri armati, “arresti” (condotti da milizie, non dalla polizia ufficiale praticamente inesistente) ed esecuzioni sommarie ai danni di attivisti e simpatizzanti della Fratellanza, i cui esecutori sono stati proprio i gruppi jihadisti. Che l’intero movimento fosse in pericolo, chi ne faceva parte lo sapeva sin dall’inizio dello scontro in Siria tra ISIS e Fronte islamico, nato nel 2013 dall’unione di varie forze politiche che gravitano nella galassia della Fratellanza. Due avversari che, prima di affrontarsi sul campo di battaglia, si sono scambiati l’accusa di apostasia e tradimento dei principi fondativi dell’islam.

Tutt’altro l’orientamento degli Stati Uniti, che preferiscono pilotare operazioni di commandos ben addestrati per catturare i presunti terroristi inseriti nella loro lista nera. L’intelligence algerina ha infatti rivelato che Washington “ha messo in campo per queste operazioni una mole impressionante di informazioni dettagliate, riguardanti capi terroristi accusati di minacciare i suoi interessi o i suoi cittadini” residenti in Libia. Gli USA hanno ora nel mirino Mohamed Ali al-Zahawi, “emiro” del potente movimento Ansar al-Sharia, e Abou Obeida al-Zawi, comandante degli ex-ribelli libici. Quest’ultimo in particolare sarebbe l’uomo più vicino ad Al-Qaeda e successore di Abou Anass catturato nel 2013. Tra i maggiori ricercati si trova infine l’algerino Mokhtar Belmokhtar, considerato il mandante dell’attacco di Tiguentourine del gennaio 2013, che ora vivrebbe nel sud-est della Libia.

Ogni operazione militare che si rispetti necessita tuttavia di impegno logistico e presenza sul campo, o almeno nelle vicinanze. Per questo, il quotidiano Washington Post ha rivelato recentemente che gli Usa sono pronti a stabilire una loro base per droni ad Agadez, città del Niger settentrionale, a 350 km dalla frontiera algerina e a 200 kilometri da Arlit, dove stazionano truppe francesi a difesa degli stabilimenti per lo sfruttamento di uranio. Washington precisa che il rapporto con Parigi è di totale collaborazione, come dimostrano i 10 milioni di dollari “donati” all’esercito francese sotto forma di rifornimenti di aerei e trasporto di truppe. La nuova piattaforma per le operazioni e la sorveglianza aerea ufficialmente sarà fornita di droni da ricognizione non armati, probabilmente di modello Predator, e avrà come unico obiettivo monitorare la situazione libica. Si prevede inoltre la costruzione di un’altra base in Senegal, un altro passo verso la militarizzazione totale della regione.

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