Coltivare aree urbane per nutrire la Siria: ecco “The 15th Garden”

Di Katarina Montgomery. Syria Deeply (28/10/2014). Traduzione e sintesi di Claudia Avolio.

In copertina l’opera dell’artista siriano Asaad Arabi “Lanterna”, 2008

Si stima che in Siria circa 240 mila persone vivano oggi sotto assedio (dati ONU). Il governo siriano è stato accusato di tagliare deliberatamente le risorse vitali (cibo, acqua, elettricità) dalle aree controllate dai ribelli, in una strategia chiamata “morire di fame o sottomettesi” in cui la deprivazione è un’arma di guerra. La coltivazione urbana è dunque emersa come strategia per scongiurare le morti per fame.

“The 15th Garden” è una rete solidale di coltivatori che ha tenuto workshop in Turchia e a Beirut insegnando ai siriani le tecniche di coltivazione urbana che hanno poi applicato in Siria. La rete ha anche fornito migliaia di semi alla popolazione siriana donati dai Paesi europei. Ansar Hevi, donna tedesco-irachena che ha trascorso del tempo in Siria, lavora al progetto e Katarina Montgomery l’ha intervistata a Beirut per capire di più del programma e dei suoi obiettivi.

Quali sono alcuni degli ostacoli che avete incontrato nel creare “The 15th Garden”?

La più grande barriera è stata la mancanza di semi. Quando i coltivatori in Europa hanno appreso che il governo siriano sta usando la fame come tattica di sottomissione, hanno capito che il loro contributo poteva passare per i semi. Ora abbiamo una buona rete di coltivatori che donano semi, e sono tutti organici.

Come e dove i siriani stanno creando le coltivazioni urbane?

A seconda della zona, l’approccio cambia. Nella zona del Qalamoun la gente viene bombardata ogni giorno e il regime prova a distruggere i campi. Così avevano pensato di coltivare sui tetti, ma lì ci sono i cecchini del regime. Allora hanno scelto di coltivare nelle case distrutte, intuendo che non sarebbero state colpite di nuovo. Col freddo dell’inverno, coltivare nelle case crea anche una sorta di serra che rende la coltivazione più facile.

Poi c’è Yarmouk in cui non ci sono campi e così si è pensato di adibire a coltivazione uno spazio che serviva da discarica: i rifiuti sono stati eliminati e gli strati inferiori del terreno si sono rivelati molto fertili. A Yarmouk c’è anche il problema dell’acqua che manca: si usa quella sotterranea e per estrarla c’è bisogno di generatori, quindi di carburante, ed è una spesa. I coltivatori della Germania si sono rivelati molto utili per condividere le proprie conoscenze e mostrare che tipo di semi si possono usare.

In quanti luoghi si trovano le coltivazioni? E come hanno influenzato la popolazione locale e l’economia?

Rispetto ai luoghi, col tempo sto ricevendo sempre più richieste dai siriani che vogliono imparare come poter avviare queste coltivazioni, scrivono da tutte le parti della Siria. A Yarmouk hanno piantato melanzane, zucchine e pomodori e ora vogliono piantare anche lenticchie e dei prodotti da poter conservare. Stanno nutrendo la gente più vulnerabile: i raccolti hanno un impatto diretto sull’economia locale. Nelle aree sotto assedio c’è chi approfitta dell’assedio stesso, speculando sul cibo e facendo levitare i prezzi. Quando i coltivatori urbani hanno iniziato a produrre cibo, visto che c’era questa nuova risorsa disponibile, anche i prezzi sono scesi.

Quando ti sei resa conto del potenziale di questo progetto?

Quando hanno smesso di distribuire i pacchi di aiuti a Yarmouk e gli attivisti hanno potuto distribuire 200 chili di zucchine che avevano coltivato, c’era perciò un aiuto per i civili senza cibo. Quando la gente muore di fame, ogni giorno conta.

Katarina Montgomery è una digital producer nata negli Stati Uniti e cresciuta nei Balcani, che oggi vive a Beirut in Libano.

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