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Il collasso del mondo arabo

Di Hisham Melhem. Politico Magazine (18/09/2014). Traduzione di Roberta Papaleo.

Decidendo di usare la forza contro la violenza estremista di Daish (conosciuto in Occidente come ISIS), il presidente Obama sta facendo più che entrare deliberatamente in un pantano. Sta facendo più che giocare con il destino di due Paesi spezzati – Iraq e Siria, le cui società erano distrutte ben prima che gli americani apparissero all’orizzonte. Obama ancora una volta – e con una certa e comprensibile riluttanza – si sta addentrando nel caos di un’intera civiltà collassata.

La civiltà araba, così come la conosciamo, è praticamente morta. Oggi il mondo arabo è più violento, più instabile, più frammentato e guidato dall’estremismo – sia di chi governa che di chi vi si oppone – come non mai sin dal crollo dell’Impero Ottomano cento anni fa. Qualsiasi speranza di una storia araba moderna è stata tradita. Le promesse di legittimazione del potere, del ritorno alla politica, del ripristino della dignità umana annunciate dalle rivolte arabe al loro splendore iniziale hanno spianato la strada a guerre civili, a divisioni etniche, settarie e regionali e al riconfermarsi dell’assolutismo, sia in termini militari che atavici. Con l’unica dubbia eccezione per le antiche monarchi e gli emirati del Golfo – che per il momento resistono alle ondate del caos – e forse per la Tunisia, non è più possibile riconoscere alcuna legittimità nel mondo arabo.

Sorprende forse il fatto che, come un parassita che si impossessa di una città in rovina, gli eredi di questa civiltà autodistrutta siano gli sgherri nichilisti di Daish? E che non ci sia nessun altro che possa ripulire il gran casino che gli arabi hanno combinato del nostro mondo se non gli americani e i Paesi occidentali?

Nessun paradigma o teoria è in grado di spiegare cosa è andato storto nel mondo arabo nell’ultimo secolo. Non c’è un’ovvia schiera di ragioni per i fallimenti colossali di tutte le ideologie e i movimenti politici che hanno attraversato la regione araba: il nazionalismo, sia quello baatista che nasserista; i vari movimenti islamisti; il socialismo arabo; lo stato redditiere e i suoi rapaci monopoli, hanno lasciato solo società spezzate. Nessuna teoria può spiegare la marginalizzazione dell’Egitto, una volta centro gravitazionale politico e culturale dell’Oriente arabo, ed il suo breve e tumultuoso esperimento di pacifico cambiamento politico prima di tornare alla guida militare.

Neanche la nozione di “vecchio odio settario” è adeguata per spiegare la terrificante realtà, che va da Basra nel Golfo  fino a Beirut nel Mediterraneo, del continuo spargimento di sangue tra sunniti e sciiti – manifestazione pubblica di un’epica battaglia geopolitica per il potere e il controllo tra l’Iran, la culla sciita, e l’Arabia Saudita, la culla sunnita, e i loro vicini.

Non c’è alcuna spiegazione onnicomprensiva per l’arazzo di orrori in Siria e in Iraq, dove negli ultimi cinque anni più di un quarto di milione di persone sono morte, dove celebri città come Aleppo, Homs e Mosul sono state vittime del terrore delle armi chimiche di Assad e della violenza brutale di Daish. Come ha fatto la Siria a dividersi tanto da diventare – come la Spagna degli anni ’30 – l’arena dove arabi e musulmani combattono di nuovo vecchie guerre civili? La guerra lanciata dal regime siriano contro i civili nelle zone dell’opposizione ha visto l’uso di missili Scud, di bombe barile e anche di tattiche medievali come l’assedio e la fame.

La storia dell’Iraq degli ultimi decenni è la cronaca di una lenta morte preannunciata, iniziata con la fatale decisione di Saddam Hussein di invadere l’Iran nel settembre 1980. Da allora gli iracheni hanno vissuto in un purgatorio in cui ogni guerra da vita a una nuova. Nel mezzo di questo caos sospeso, l’invasione americana del 2003 è stata un mero catalizzatore che ha permesso alla violenza di riprendersi con tutte le forze.

La polarizzazione di Siria e Iraq – a livello settario, politico ed etnico – è così profonda che è difficile vedere come questi Paesi potrebbero ricostituirsi come Stati unitari. In Libia, i 42 anni di regno di terrore di Muammar Gheddafi hanno reso il Paese politicamente vuoto e hanno frammentato la sua già debole unità. Le fazioni armate che hanno ereditato questo Paese esausto lo hanno messo sulla strada di una rottura – ancora, senza sorpresa – lungo le fratture tribali e regionali. Lo Yemen ha tutte le carte per essere uno Stato fallito: divisioni politiche, geografiche, settarie e tribali sullo sfondo di un deterioramento economico e un livello di risorse idriche così basso che potrebbe trasformarlo nel primo Paese del mondo ad esaurire la disponibilità di acqua potabile.

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