Editoriale. Asharq al-Awsat (28/04/2014). Traduzione e sintesi di Silvia Di Cesare.
Con l’entrata della crisi siriana nel suo quarto anno, i governi occidentali sono sempre più preoccupati del crescente numero di cittadini europei che si dirigono in Siria per combattere.
I servizi segreti olandesi hanno rivelato che il numero di jihadisti che hanno lasciato il Paese lo scorso anno ha superato la centinaia, mentre sarebbero circa 600 i britannici che dall’inizio dei combattimenti si sono uniti con i gruppi jihadisti.
L’assassinio in Siria di un giovane inglese, Abdullah Deghayes, ha fatto scattare un campanello d’allarme ai servizi segreti britannici. Il padre del giovane ragazzo ha raccontato che era ormai da mesi che il figlio si era unito alle forze combattenti per lottare contro il regime di Bashar Al-Assad.
Dopo gli attentati dell’11 settembre, è sempre maggiore la paura dei Paesi europei nei riguardi dei loro cittadini che viaggiano verso i campi di concentramento all’estero, che potrebbero rappresentare una minaccia reale per la sicurezza interna degli Stati europei.
Funzionari arabi, europei e americani si incontreranno il prossimo giovedì 8 maggio proprio per discutere dell’esistenza o meno di una “minaccia” derivante dalla presenza di militanti stranieri in Siria.
Dopo aver fallito nel trovare una soluzione politica alla crisi siriana, l’anti-terrorismo sta diventando la principale politica dei Paesi europei nei confronti della Siria.
Tuttavia, è pericoloso e preoccupante pensare di affrontare la crisi siriana attraverso il “contenimento” dei combattenti. Per porre fine a questa guerra che ha causato la morte di oltre 150 mila siriani, bisogna affrontare il nocciolo della crisi, piuttosto che basarsi su misure a breve termine.
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