Il libro di cui parliamo oggi è un reportage scritto dalla giornalista italiana Ilaria Guidantoni e pubblicato dalle Edizioni Albeggi nel 2013.
Le pagine che scorrono ci conducono per mano ad osservare la società tunisina all’indomani della rivoluzione dei gelsomini del gennaio 2011. Lo sguardo dell’autrice prova ad indagare i cambiamenti che la rivolta ha generato a distanza di un anno e lo fa in una sorta di tour di opinioni, interpellando intellettuali, artisti, imprenditori e persone comuni, come tassisti, commessi o ragazze che lavorano nei call center. Ognuno di loro racconta la propria rivoluzione, il proprio rapporto con la società che cambia o che non cambia affatto, fra speranze e delusioni.
L’obiettivo dichiarato della Guidantoni attraverso questo libro è quello di sondare la transizione dalla caduta di Bin Ali nel gennaio del 2011 fino al momento in cui il libro è stato scritto, cercare di raccontare la fase di passaggio verso la democrazia e comprendere con quali sentimenti questa fase viene vissuta dai tunisini. La prima sensazione registrata è stata quella di trovarsi in una situazione molto fluida, dove l’incertezza è il contenitore all’interno del quale si muovono lentezze ed entusiasmi.
Il viaggio dell’autrice parte dai primi giorni del coprifuoco, attraversa l’euforia della rivolta, la post rivoluzione e il primo Ramadan post Bin Ali, le prime elezioni libere per approdare infine alla stagnazione economica. Un viaggio quindi non nel senso turistico del termine, quanto invece un viaggio all’interno di categorie sociali, politiche e culturali nelle quali si estrinseca la Tunisia post rivoluzionaria. Le conversazioni con i vari interlocutori permettono all’autrice di disegnare una mappa di una transizione emozionale prima ancora che politica.
Da più parti viene sottolineato che le promesse della rivoluzione – identità, lavoro e popolo – sono state tradite soprattutto in assenza di un piano di sviluppo economico. Altri sottolineano come si sia passati dalle regole certe del periodo di Bin Ali all’incertezza del periodo della transizione. Ma la rivoluzione viene già vissuta con nostalgica malinconia “Sembrano così lontani quei giorni di tripudio di gioia e di fratellanza spontanea”. Sono soprattutto gli artisti e gli intellettuali a sottolineare gli aspetti positivi della rivoluzione, definita per esempio da una libraia di Cartagine “un detonatore per riscoprirci tunisini, scavando nelle nostre origini”. La scena artistica e culturale tunisina ha comunque vissuto un periodo di rivitalizzazione, con un nuovo fermento soprattutto fra i giovani artisti. Ma non mancano le contraddizioni. Come quelle ripetutamente sollevate sul ritorno del velo per le donne. Secondo alcuni la presenza di un numero maggiore di donne velate non ha modificato la mentalità tunisina e il rapporto fra uomini e donne. Molte donne difendono la scelta di indossare il velo, come strumento per ritrovare una identità e sottolineare le differenze con il mondo occidentale, il quale vede nel velo una forma di regressione rispetto al regime emancipato di Bin Ali. Il timore per molti altri è che la rivoluzione abbia in fondo portato ad un passaggio di consegne dalla dittatura personale di Bin Ali all’instaurazione di una dittatura religiosa.
Attraverso le voci del popolo tunisino l’autrice ci offre uno spaccato molto interessante di come questo paese stia modificando il proprio tessuto sociale all’indomani di una rivoluzione che per alcuni è stata solo sollevazione popolare. Vi lascio con la riflessione che fa alla giornalista italiana una delle sue interlocutrici e che induce anche noi lettori occidentali a riflettere, non solo sulla situazione tunisina “Paesi come la Tunisia, che non hanno conosciuto che regimi dittatoriali, hanno dato vita a popoli affetti da amnesia”.