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Chi ha interesse nel salvare l’Egitto?

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Abdel Fattah al-Sisi
Dal blog Egitto in movimento di Ludovica Brignola

Sono in tanti i paesi che hanno bisogno dell’Egitto in questo momento e il cui futuro è inevitabilmente connesso a quello del paese delle piramidi. Se infatti da una parte viene additato come fanalino di coda delle statistiche internazionali per diritti umani fondamentali, libertà di stampa e parità dei sessi, sono tanti i paesi che cercano di salvarlo attraverso prestiti, aiuti finanziari e campagne per riattivare il turismo e l’economia in questa regione.

In primis l’Arabia Saudita e gli Stati del Golfo, che con una fine definitiva dei rapporti con l’Egitto perderebbero l’influenza su paesi a rischio come Siria, Libia, Yemen e Iraq. Poi Israele, il quale è fortemente interessato ad una stabilità egiziana, dato che una eventuale crisi potrebbe mettere a repentaglio gli effetti della pace raggiunta nel 1979 a Camp David. Ed infine l’Occidente, il quale ha un interesse strategico nella regione vista la vicinanza con la Libia. Infatti sebbene definito a livello internazionale come Stato dittatoriale e violatore dei diritti umani, l’Egitto rimane pur sempre lo Stato più popoloso del mondo arabo, che con i suoi 90 milioni di abitanti riveste un importanza economica fondamentale e con la sua posizione un ruolo geopolitico centrale. Buona parte del suo territorio infatti comprende la penisola del Sinai, confinante con Israele e Arabia Saudita, oggi zona di forte instabilità, provocata in particolare dall’insorgenza del ramo locale dello Stato Islamico.

Forse è per questo che nonostante l’uccisione di Giulio Regeni e le continue sparizioni forzate di cittadini egiziani, il Fondo Monetario Internazionale si accinge a prestare all’Egitto 12 miliardi di euro di aiuti. E forse è anche per questo che ieri l’Egitto sia stato il benvenuto al Congresso per i Diritti Fondamentali dell’ONU al fianco di Arabia Saudita, Cuba e Cina. Ma nonostante i tentativi di salvataggio, gli aiuti europei e quelli degli Stati del Golfo – che tra il 2013 e il 2014 hanno inserito nelle casse egiziane miliardi di dollari – per ora l’Egitto è ancora profondamente immerso nella crisi.

Ieri il primo ministro ha annunciato una imminente svalutazione della moneta per la seconda volta quest’anno con lo scopo di unificare il tasso di cambio ufficiale e quello vigente sul mercato nero. Questo per arginare il rischio di rivolte e risolvere il problema della mancanza di valuta straniera. Il debito estero poi è aumentato del 16% in un anno e le voci che parlano di possibili proteste si stanno moltiplicando. Se da una parte infatti i metodi violenti e autoritari di Abdel Fattah al-Sisi non piacciono più, dall’altra le alternative politiche mancano, e quando esistono sono ancora troppo divise al loro interno. Gli eventi dei prossimi giorni – e il successo o meno di una eventuale protesta l’11 novembre – saranno critici per aiutare a comprendere che strada prenderà il futuro egiziano.

Fonti:

https://geopoliticalfutures.com/saudi-arabia-egypt-and-arab-security/?format=pdf

http://www.middleeasteye.net/news/analysis-are-we-entering-final-days-sisi-s-rule-egypt-501133071

http://www.middleeasteye.net/columns/why-saudi-and-other-gulf-states-need-rescue-egypt-itself-1414409612

https://www.ft.com/content/1a9e38d0-9ac0-11e6-8f9b-70e3cabccfae

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Ludovica Brignola

1 Comment

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  • Thanks for your post but my comment is we have to care about our education and economy (such as to reopen our factories & encourag international exports and then international investors) in parallel

    2nd our problem with government not get a loan No No No ?
    Our problem is how manage the system under pressure and crisis management.

    Thank you ?