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Bruxelles paga il prezzo degli errori politici

Di Moataz Bellah Abdel-Fattah, Daily News Egypt (23/03/2016) Traduzione e sintesi dii Chiara Cartia

In Europa, quando viene sferrato un attacco terroristico, la colpa ricade immediatamente sui musulmani, ancor prima che siano state svolte indagini. Come ho già scritto: “Pagano il prezzo dei nostri errori politici”.

La mia prima considerazione è che l’albero del terrorismo attecchisce solo in una foresta di estremismo. Chi combatte il terrorismo senza prendere in conto l’estremismo è destinato a perdere entrambe le battaglie.

Se sapessimo che il fumo causa il tumore, sarebbe illogico fornire sigarette a prezzo minimo per poi curare i pazienti di cancro.

Questo, però, è quello che fanno i paesi occidentali: chiudono gli occhi e permettono all’estremismo di fiorire in un ambiente in cui la libertà di religione, di opinione, di espressione e di asilo politico vengono protetti, e poi pagano lo scotto di quegli stessi estremisti che vivono nel loro territorio.

La mia seconda osservazione è che l’”islamizzazione politica” sia necessaria ma non sufficiente a fermare il terrorismo politico.

Considerando il numero di terroristi e di operazioni terroristiche nel mondo, si può dedurre che la maggioranza dei musulmani non sono terroristi ma che la maggior parte dei terroristi sono islamizzati.

I musulmani in prevalenza non sono terroristi perché capiscono l’essenza della loro religione, che ordina loro di seguire la volontà di Dio e combattere solo chi combatte contro di loro.

I versetti che incitano i credenti alla lotta sono stati rivelati in un contesto di battaglia. La regola originale è: “E se sono inclini alla pace, allora siate inclini alla pace anche voi e affidatevi a Dio”.

In questo contesto, è emerso un gruppo di individui islamizzati che si reclamano migliori degli altri, dei “super musulmani” a tutti gli effetti. Chi non segue il loro modus operandi, viene relegato nella categoria delle “persone che non applicano la legge di Dio” e per questo meritano di essere uccisi.

L’islamizzazione, in questo senso, è una condizione necessaria per diventare un terrorista. E’ un processo che porta all’odio, alla distorsione degli altri. Si prende un segmento della società e si disumanizza, facilitando così la decisione di uccidere chi ne fa parte. L’islamizzazione è una condizione necessaria per il musulmano che vuole convertirsi al terrorismo. E’ essenziale quanto il superamento di un esame per uno studente. Tuttavia, l’islamizzazione non è una condizione sufficiente, perché alcuni individui islamizzati, per via della loro educazione, delle circostanze o della loro virtù, non adottano la violenza anche se sono inclini a giustificarla. Alcuni di loro, purtroppo, approfittano della libertà di religione, opinione ed espressione per adottare l’estremismo, fornendo un ambiente adatto a chi dall’estremismo passa al terrorismo.

Terrorismo= estremismo + violenza.

In terzo luogo, voglio dire che il terrorismo ci colpisce tutti quindi tutti dovremmo contrastarlo.

L’occidente dovrà affrontare lo stesso destino dell’Egitto e del Medio Oriente. Il nodo che l’Occidente non riesce a sciogliere è che si presenta come un focolaio per l’estremismo ma poi rimane scottato dal terrorismo.

In quarto luogo, mi sento di dire che i terroristi sono stupidi. Fanno sì che tutti si coalizzino contro di loro.

Qualsiasi gruppo terrorista, ivi incluso Daesh, perpetra attacchi ad ampio raggio: contro gli  iracheni, i siriani, i turchi, gli americani, gli iraniani, gli egiziani e i russi. Immaginano di poter sconfiggere tutti ma come risultato, tutti vogliono eliminarli.

Il dilemma è che nessuno trasforma questo assunto in una strategia per lottare contro il terrorismo e la violenza estremista.

Si combatte invece i terroristi considerandoli come fossero individui o gruppi. Alcuni paesi nel mondo sovvenzionano gli estremisti e i terroristi, convinti che servano i loro interessi ma presto si accorgeranno che rimarranno scottati dal fuoco terrorista.

Moataz Bellah Abdel-Fattah è un professore egiziano di scienze politiche. Ha lavorato precedentemente come consigliere del primo ministro egiziano e come professore di scienze politiche alla Cairo University e alla Central Michigan University.

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